Utopia

Recesione di Utopia (Serie tv)

Già vi sento “La Chimera che recensisce una serie tv. Sul serio? Ecco che mi diventa commerciale e si mette a fare le maratone per raccontarci tutto quello che vede”. Stiamo calmi, questa è un’eccezione che conferma la regola. Qui si parla di libri, ma soprattutto di quello che in qualche modo mi lascia un segno e questa serie tv mi ha fatto riflettere. Credo quindi sia giusto, non solo consigliarla, ma farla scoprire a quanti di voi potrebbero apprezzarla come me. Non aspettatevi una serialità per questo genere di recensioni, perché vi confesso che è raro che una seria mi faccia gridare “Genio” in stile René Ferretti.

Partiamo con il dire che questa è una di quelle visioni da riempimento, in uno di quei momenti in cui, non sai cosa guardare, e ti parte la reminiscenza di quel collega che ti ha consigliato di vedere una serie tv di cui ricordi, ma di cui praticamente non hai mai sentito parlare dagli addetti del settore: Utopia. Un nome un programma. La trama non tradisce: in una casa abbandonata viene trovato un fumetto, Utopia appunto, seguito di un altro grande successo, Distopia. I ragazzi lo mettono all’asta a una convention del fumetto e finiscono molto male perché, oltre ai nerd, ci sono ragazzi che lo cercano perché tra le sue pagine sanno che troveranno la spiegazione di qualche nuovo virus, e magari delle cure. Ed effettivamente nel fumetto, Distopia prima e Utopia dopo, è nascosto qualcosa: piccoli indizi parlano dell’avvento delle grandi epidemie moderne. Utopia sembra essere l’inizio di qualcos’altro. Non vi svelo molto altro, ma vi basti sapere che fumetto e realtà si fonderanno, trasformando l’idea strampalata di un complotto come invece una realtà tremenda.

È una serie tv che viene proposta con un forte disclaimer che comunica, a chi la sta vendendo, che i fatti narrati non hanno alcun collegamento con il Covid. Per certi versi fa sorridere vedere come i risvolti legati alla nuova pandemia raccontata nella seria sia diametralmente opposta. La reazione alla scoperta dei vaccini, da noi accolta troppo spesso da timori e dubbi, nella serie viene osannato e reclamato da tutti. Anche per la diffusione del virus nel mondo reale si teorizza una produzione in laboratorio. Nella serie invece viene assodato che il modo in cui si sia diffuso è sconosciuto, ma la sua provenienza è peruviana.

Andiamo però avanti. Perché ne sto parlando? Allora per prima cosa lo faccio perché è un prodotto che trovo molto diverso da quello che sta andando solitamente in onda sulle varie piattaforme di streaming (Utopia è su Prime). Non ha una narrazione perfetta, a volte pecca di fretta, ma credo sia un prodotto interessante di cui ho sentito parlare per caso e di cui credo, se come me amate libri particolari, certamente potreste apprezzarla. Non segue il solito canovaccio e ha idee che non annoiano banalmente. C’è un pizzico di quella componente di imprevedibilità che da una speranza a questo mercato inflazionato da trame uniformate.

Mentre mi metto a lavorare a questo articolo, scopro per puro caso che Utopia altro non è che un remake della serie inglese omonima del 2013 (insomma innovativa ma su un canovaccio già sperimentato) che sono curiosa di recuperare per confrontarla con la nuova. La versione originale era ambientata a Londra, trasformandola in una possibile serie epica perché in Inghilterra, questo genere di storia, avrebbe parecchio da raccontare.

Insomma qualcosa di particolare, un pizzico di bianconiglio che non guasta mai, il mondo dei fumetti (che sono un media che amo tantissimo), e le tre domande che vi tormenteranno: dov’è Utopia? Dove si trova Jessica Hyde? Dov’è il bambino?

Zar

La pazza che amava gli Zar

Il titolo di questo mio articolo potrebbe tranquillamente essere quello di un libro. C’è una parte di me che probabilmente lo scriverebbe, l’altra di certo lo comprerebbe. Oggi siamo qui per fare voli pindarici sulla mia fissazione Made in Russia. Vi avevo già parlato di Alice, ma dei Romanov ne accenno giusto ogni tanto qualcosa su Instagram.

Non sono mai riuscita a spiegare apertamente al mondo come mai amo così tanto la tragica storia di Nicola II e della sua famiglia. Amore che poi è stato poi esteso a tutta la nobiltà russa con un particolare occhio di riguardo ai Romanov. Eppure con questo articolo ci provo. Partiamo dicendo che non sono tanti anni, almeno non quanti quelli per la fissazione da “Mondo delle meraviglie”, che acquisto in maniera (quasi) incontrollata libri sull’argomento, anche se le sue origini sono molto più vecchie.

Inverno 1998 (circa). Il film lungometraggio “Anastasia” è arrivato anche nelle case degli italiani grazie a quel reperto semi-archeologico che erano le videocassette. Una bambina di dodici anni, nella provincia di Brescia, la sta consumando come se non ci fosse un domani. Dentro di lei spera che si nascondano dei ricordi dimenticati che la portino lontano dal suo quotidiano: sogna di essere una principessa russa, spera di arrivare un giorno a trovare il suo posto nel mondo. Canta le canzoni, ha una fissa in particolare per “Quando viene dicembre”. È così malata di Anastasia che perfino una sua zia le regala il ciondolo che compare nel lungometraggio. Ciondolo che ha ancora oggi (da qualche parte a casa dei suoi genitori), e di cui spera un giorno di trovare il carrillon da aprire per poter svelare la sua vera identità.

Ecco quella piccola bambina sono io, e fino a quando non mi faranno un esame del DNA che dimostri che non sono una discendente dei Romanov, una piccola vocina dentro di me mi ricorda che forse un giorno, a dicembre, potrei scoprirmi davvero una principessa russa. Facciamo però le persone serie e diciamo che, ora che sono adulta, questo rimane un sogno. Ma la me giovane dovette scontrarsi con la verità storica (oltre alla povertà quotidiana e al non avere una mia corona) nascosta dalla finzione, e si rivelò traumatica: conoscere la vera storia di Anastasia e dell’ultimo Zar di Russia mi lasciò molto triste.

Do per scontato che sappiate a grandi linee dei fatti, non soffermiamoci su giusto o sbagliato, andiamo dritti sulla verità che è confermata anche dai ritrovamenti dei corpi (oltre che dalle testimonianze di coloro che ne presero in qualche modo parte a quella notte del 17 Luglio 1918 a Ekaterinburg): l’intera famiglia reale, composta non solo dallo Zar e da sua moglie, ma anche dalle quattro figlie e il figlio Alessio, morirono. Nessun sopravvissuto. Non riesco a ricordare la prima volta che lessi completamente il fatto storico così come era. Di vivido nella mia mente è rimasta la sensazione di incredulità per quelle morti. Non so come mai abbia sentito così tanta unione con dei reali a cui non devo nulla, se non la fantasia di pomeriggi fine anni novanta, in cui sognavo di farne parte. Eppure è sempre stato un tarlo. Inizialmente speravo nella loro sopravvivenza, in altre volevo sapere tutto, vedere gli scheletri, controllare quanto si sapeva di certo, oltre che informarmi della decina di “aspiranti sopravvissuti” a quella notte di sangue.

È cominciato con il “voglio sapere” che presto è divenuto “voglio tutto quello che è stato scritto su di loro”. Nella mia libreria (inscatolata al momento) ho biografie, diari (questi in lingua inglese), raccolte fotografiche di Nicola II e della sua famiglia. Poi sono passata a cercare informazioni su chi li circondava, da Rasputin (di cui ho anche la rarissima biografia scritta dalla figlia) a Felix Yusuppov che lo uccise (altro libro rarissimo). fino a poi estendere la ricerca alla nobiltà sopravvissuta, e perché no, informarsi sui predecessori di Nicola II come Pietro il Grande e la odiatissima Caterina la Grande. A tutto questo si aggiungono i romanzi ambientati nelle epoche salienti della corte. Poi ho sempre avuto una passione per la moda pre ‘900 e quindi, anche in quel reparto, ho libri che analizzano usi e costumi della corte. Insomma se è coinvolto uno Zar o la Russia, devo averlo.

Vi sento già chiedermi “Ma li leggi?” la risposta è “NI” alcuni li leggo, altri (soprattutto quelli inglesi) per il momento restano in libreria. Un po’ perché ho paura di non godermeli appieno leggendo/traducendo, un po’ perché sono quelli che vorrei sfruttare per scrivere un libro in futuro.

Cosa abbiamo imparato da questo articolo? La prima cosa è che io sono sempre povera anche per colpa di questa mia mania. La seconda è che spero di poter avere lo spazio, e il tempo, per riuscire a  leggere tutto quello che ho comprato e magari, perché no, scriverne.

Le necessità del bene

Recensione Le necessità del bene di Massimo Trifirò

Chi di noi non ha studiato almeno una volta i fatti della Rivoluzione francese? Che si siano viste le date e appresi i fatti salienti è cosa comune, dopotutto il programma scolastico prevede di farla conoscere a tutti gli alunni italiani. Eppure le sfumature rosso sangue, che caratterizzavano il regime del terrore, sono spesso occupate da poche righe, o si riducono a brevi spiegazioni. Il loro approfondimento però trovo che offra spunto di riflessione importante.

Attenzione questo libro è stato offerto da NeptUranus Editore.

Ci sono periodi storici di cui non smetterei mai di leggere. La rivoluzione francese è forse quello che mi intriga maggiormente. Lo è per la sua importanza storica, ma anche per i risvolti crudi che ha mostrato ai posteri. Se pensiamo ai suoi fondamenti “libertà, uguaglianza e fraternità” è quasi cacofonico poi pensare che, di quel periodo, è stata la ghigliottina a cercare di farli rispettare. Le teste che rotolavano per la salvezza della Francia furono certamente troppe e molto spesso non necessarie. Eppure non si pensa al voler approfondire le storie di sottofondo di queste esecuzioni. Si pensa Luigi, a Maria Antonietta, ai nobili che sfruttavano il popolo, agli ecclesiastici che sfruttavano la fede gente, tutti colpevoli in qualche modo. Forse tra di loro c’erano innocenti, uomini e donne finiti nel fascio fatto per il bene comune, per la salute pubblica, carne da macello necessaria per portare avanti il cambiamento.

È il caso delle suore del monastero di Compiègne, donne che avevano votato la vita alla fede e alla clausura, che si ritrovarono accusate di fanatismo da chi usava la fede nel cambiamento per giustificare il loro martirio.

C’è da dire che il libro in sé è davvero molto breve. Una pillola di storia, cruda e nuda, per scoprire questo piccolo fatto d’orrore. Un peccato sia relegato a poche pagine perché se ne potrebbe tranquillamente ricavare un romanzo. Trovo che sia una lettura utile per chi ama la storia e cerca un qualcosa di diverso per approfondirla. L’autore sa il fatto suo e, anche se contrappone momenti di narrazione all’analisi del fatti storici, porta i lettori nel furore di sospetti, accuse e fanatismi con accuratezza, lasciando lontane dalle pagine la pesantezza da professore che cerca di insegnarti la storia attraverso date e avvenimenti.

Pillole di storia che però mi sarebbe piaciuto leggere per pagine e pagine, ma forse questo libro è veloce nel suo narrare, così come lo fu la ghigliottina nel dare giustizia.

Il gatto che voleva salvare i libri

Recensione Il gatto che voleva salvare i libri di Sosuke Natsukawa

Rintaro ha perso il nonno e dovrebbe fare il possibile per vendere i libri della libreria che gestiva, per poi trasferirsi da una Zia che non conosce. È una buona scusa per non andare a scuola. Lui in realtà è un ikikomori (persona che non vorrebbe mai avere contatti con il mondo esterno e che di solito si rinchiude nella propria stanza senza uscirne mai), ma l’arrivo di un gatto parlante di nome Tora stravolge tutti i suoi programmi; nel mondo ci sono libri da salvare e lui è la persona giusta per questa missione.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Vi confesso che i libri che parlano di libri, librai, librerie sono quelli che compro volentieri, e poi abbandono sugli scaffali senza mai trovare lo stimolo di leggerli.

Non è che lo faccia apposta, semplicemente è che mi ispirano tantissimo quando li vedo in negozio, ma una volta a casa non riesco proprio a iniziarli. Che cosa mi ha spinto quindi a chiedere la copia da leggere a Mondadori? È un libro scritto da un giapponese e dopo il mio grande amore per Murakami, mi domandavo se sarebbe bastato il “Made in Japan” a far scattare la scintilla, e farmi abbandonare questa brutta abitudine legata ai libri con protagonisti altri libri & co.

Come tutte le letture che arrivano dall’estremo oriente, mi aspettavo “A” e mi sono ritrovata con “Omega”. E come sempre diventa difficile parlarne perché mi risulta una lettura insolita.

Partiamo dal dire che questo libro non lo promuovo a pieni voti, non perché si sia rivelato tutt’altro, semmai è il senso minimale della narrazione a lasciarmi un poco perplessa. È una storia surreale, che però non mostra abbastanza dei personaggi coinvolti. Le tematiche sono importanti, forti, credo che parecchi passaggi andrebbero fatti leggere ai giovani come anche a chi adulto ha abbandonato il romanticismo per la lettura. Inoltre ho trovato il registro molto alto, quando avrei valutato un adattamento calibrato su lettori più giovani.

Tornando al libro. Il viaggio attraverso questi misteriosi labirinti dove alcuni lettori si sono trasformati in tiranni, atti a opprimere e distruggere i libri, è uno spaccato del nostro quotidiano: l’incontro con chi deve leggere migliaia di libri, senza nemmeno apprezzarli, a chi cerca di riassumerli all’inverosimile per renderli accessibili, fino a chi considera i libri solo un business e, in quanto tale, devono essere quello che il pubblico cerca. Racconta molto bene l’editoria mondiale. La morale del libro non ve la svelo, ma è importante ricordare che: per quanti libri si stampano o si leggono, bisogna trovare la propria dimensione d’amore con il testo, con quello che rappresenta nelle nostre vite, andare oltre al semplice oggetto, dedicargli la cosa che ha più valore in assoluto: il tempo.

Un libro particolare ideale per chi ama lo stile letterario nipponico, molto diverso dal nostro, ma anche molto pieno di significato. Non mi ha sorpreso come avrei voluto, ma potrebbe sorprendere voi.

La Repubblica dei Ladri

Recensione La Repubblica dei Ladri di Scott Lynch

Non avevo timori, sapevo che Lynch ci avrebbe riservato un seguito ricco. Ero pronta a qualcosa che rimescolasse le carte in tavola per poi ricominciare a farci sognare, ma non ero pronta per Sabetha. La aspettavamo tutti, dopo due volumi, a parlare della rossa più desiderata da Locke. E’ inutile, quando lei pian piano si prende lo spazio della storia. ci rendiamo conto che anche questa volta Lynch ci farà soffrire tutti.

Ti amo Lynch, ma dannazione dacci altro. Ma non distraiamoci: c’è un libro da recensire, per le minacce all’autore ci sarà tempo.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Cala l’asso il nostro caro scrittore ,che ha ormai imprigionato il nostro cuore tra le fila dei Bastardi Galantuomini. E non un asso qualsiasi, usa quello di cuori. Porta finalmente sotto i riflettori Sabetha, la misteriosa figura femminile della banda, il cui nome era solo sussurrato a fior di labbra dai protagonisti.

È stata una delle letture più lunghe e intense fatte in questi ultimi mesi. Ho diverse scadenze ma nessuno mi avrebbe potuto mettere fretta. Avevo bisogno di dedicarmi a Locke e capire se avrei amato, odiato o invidiato Sabetha.

Prima di parlare a carte scoperte, premetto che mi aspettavo un colpo di scena che portasse avanti la trama. No, mio caro Mr. Lynch non avrei mai creduto che avresti lasciato morire il protagonista. Sei uno stronzo, più di Martin, ma non così infame da toglierci la colonna portante da sotto i piedi. Locke insomma ce la fa, e sebbene me lo aspettassi, non credevo che sarebbero finiti assoldati dagli stessi maghi che tanto odiano.

Tornano le reminiscenze con il passato e questa volta sono autentiche pugnalate. Vogliamo sapere di più, vogliamo capire cosa sia successo davvero tra Locke e Sabetha. E pluridannazione, ogni pagina mi terrorizzava, perché temevo che l’autore avrebbe di nuovo distrutto tutte le mie speranze. Mr. Lynch mi farà finire in analisi, perché leggerlo è come ricevere un caldo abbraccio: ci si sente rassicurati e amati. Poi però quel bastardo ti pugnala sempre e rimani con un libro finito e una ferita aperta. Direi che questa volta ho sofferto meno, ma in ogni caso fa sempre male quasi quanto la prima volta.

E adesso che tutto è finito mi domando che ne sarà di noi, che aspettiamo il volume quattro e cinque di questa serie. Libri che sono stati annunciati ma di cui per il momento non si sa nulla di certo. Mentre aspetto, come sempre vi ribadisco: se ancora non lo avete fatto leggete questa serie. Non fate cazzate facendovi spaventare dalla sua mole, fidatevi, arriverete alle ultime pagine e vorrete leggerne ancora e ancora.

I mondi di J.R.R.Tolkien

Recensione I mondi di J.R.R.Tolkien di John Garth

La Terra di Mezzo è intorno a noi. Nessuno leggendolo può pensare diversamente. Ci sono tantissimi elementi che fanno capire che non ci troviamo in un luogo di invenzione, semmai è Tolkien ad aver portato nella terra di mezzo ciò che più amò, ma anche ambientazioni che lo segnarono indelebilmente.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Se viene facile riconoscere nella Contea la campagna inglese, che lo segnò nell’infanzia e non solo, trovo sia molto sfizioso questo viaggio per l’Inghilterra e non solo, per poter arrivare a capire come siano stati plasmate le terre, i boschi, fino alle torri che caratterizzano i suoi romanzi.

È inutile negare che questo volume è l’ennesimo compendio necessario per chi, come me, ha sempre bisogno di una nuova boccata d’aria che venga da Moria, da Bosco Atro, da Collevento, fin anche da Granburrone o Mordor. In questo periodo in cui non c’è dato modo di viaggiare, farlo attraverso le storie che amiamo credo sia, sebbene una consolazione, una buona fuga da questa pandemia che ci tiene spesso chiusi in quattro mura e ci nega ogni possibile svago turistico.

Questo volume snocciola, non solo la biografia di Tolkien, ma sviscera come pian piano le influenze della sua vita quotidiana siano arrivate a dare colore e forma a un mondo che non è mai stato semplicemente uno sfondo per le avventure che le hanno abitate. Ho visto solo uno scorcio della campagna inglese, eppure ho riconosciuto quel verde che poi è lo stesso che davvero ha dato le basi per Hobbiville. Anche se vi confesso che per me la vera Contea è Case di Viso, un luogo quasi totalmente diverso da quello descritto dal suo autore, ma che ho visitato e vissuto proprio mentre leggevo quei capitoli.

C’è una perplessità che mi sento di esprimere su alcune cartine all’interno di questo volume. Spero che siano errori di conversione, ma per un attimo avevo sperato che in Italia ci fossero luoghi da ricondurre in qualche modo a Tolkien. Ho invece notato che la cartina era posizionata in maniera errata rispetto ai punti indicati, che erano relativi alla svizzera. Quindi nulla, non c’è speranza di poter ripercorrere quegli itinerari a breve.

C’è molto su Tolkien e sono certa serva alla mia libreria, ma anche alle vostre. Se ancora non lo avete fatto andate subito a recuperare questo libro, lo so che avrete poco spazio, ma lo troverete appena lo avrete tra le mani.

ambientazione nei fantasy
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L’oriente come ambientazione nei fantasy

Venivo dal mondo manga e cosplay, anni in cui l’unica carta che metteva piede in casa mia aveva testi di solito racchiusi in ballons di dialogo. Poi ho iniziato a leggere libri, ma difficilmente investivo in un romanzo con ambientazione orientale. Mi sembravano troppo finto, se poi era scritto da Italiani allora, vade retro!

Ovviamente ho superato il trauma quando ho letto Esbat di Lara Manni. La leggenda vuole che questo libro arrivasse da un giro di fan fiction che aveva attirato un editore famoso. Si è poi scoperto che era tutt’altro, ma non perdiamo la concentrazione. Esbat è un libro che parla di Giappone, di una mangaka follemente innamorata del personaggio che ha creato: un demone cane, tanto sexy quanto cattivo (ogni riferimento a Sesshomaru non è puramente casuale).

Quel primo assaggio mi ha aperto un mondo.

La più grande autrice in Italia di questo genere è certamente Francesca Angelinelli. Di romanzo in romanzo ha affinato la bravura non solo nelle storie, ma anche nella filologia di ambientazioni orientali, soprattutto con il suo Chariza.

Anche Mondadori ha calcato questa via negli anni passati pubblicando la Trilogia di Otori che però non aveva avuto questo grande seguito come invece è avvenuto per i libri della saga che sono editi da Edizioni E/O. Se vogliamo restare in casa Mondadori vi ricordo anche “La guerra dei papaveri”, che tra le altre cose è stata pure una delle migliori letture 2020. Eppure se ben ci pensiamo c’è molto più fantasy orientale in libreria di quanto potremmo immaginare.

Partiamo con una collana editoriale tutta dedicata a storie con ambientazione orientale e con un pizzico di atmosfere horror. Mi riferisco alla collana YOKAI di Bakemono Lab che vi consiglio di sfogliare perché. già solo per le copertine molto originali, io comprerei il mondo. Insomma a volte ignoriamo che nell’editoria indipendente potremmo trovare proprio i prodotti più adatti a noi.

Se però avete voglia di qualcosa di più veloce, ci sono i racconti. Già perché anche nel formato più breve ecco che ci sono antologie come “Rizomi del sole nascente”, oppure la serie di Stefania Siano dedicata a Aki il Bakeneko.

Se invece avete più una propensione per l’urban fantasy, allora vi consiglio Onislayer, letto moltissimi anni fa, ma che ancora oggi mi sento di consigliare caldamente.

La fantasia e il sol levante non si fermano certo al passato  o al presente. Quindi ecco a voi un paio di titoli che mi hanno suggerito “Sirene” di Laura Pugno e “Il guerriero del tramonto” di Eric Van Lustbader.

Insomma ci siamo sempre lasciati affascinare dal mondo lontano dove il sole sorge, e forse non ci siamo mai accorti di quanto i suoi raggi siano già intorno a noi. Vi invito a cercare, e perché no comprare, alcuni dei titoli che ho citato così che sia sempre alimentato e dia la possibilità, ad autori ed editori, di portare nuova luce sui nostri scaffali.

La stirpe della Gru

Recensione La stirpe della Gru di Joan He

La principessa Hesina è in cerca di giustizia. Ora che suo padre è morto, dovrà salire al trono, ma alle porte incombe una guerra. Riuscirà a capire quale sarà la scelta migliore, non solo per vendicare la morte di suo padre, ma soprattutto per mantenere la pace?

Attenzione, il libro è stato offerto da Mondadori.

Già dalle prime pagine mi è parso chiaro che problema di questo libro era la traduzione. Siamo in una ambientazione di chiara ispirazione orientale e molti termini dovrebbero risultare molto meno “moderni” e “commerciali”. Invece come prima cosa troviamo il termine “rappresentante” che vi giuro, più lo leggevo più pensavo si riferisse a una persona che doveva vendere qualcosa. La situazione però non si ferma solo a queste problematiche, ci sono anche altre situazioni sgradevoli. La cosa che più mi ha turbato è che questo volume romarrà unico: nel giorno dell’uscita l’autrice ha confermato che non ci sarà un seguito a causa dei cattivi rapporti con l’editore in madrepatria, quindi resteremo così con questa parola fine un poco incerta.

Altro passaggio abbastanza buttato lì è che a Hesina viene indicato che una sola persona può aiutarla, ed è un prigioniero dotato di asta. Ora… è vero sto leggendo molti romance storici, ma letta così fidatevi che il discorso finiva su un’asta ben chiara. Vi giuro che anche i fratelli di Hesina scherzano su questo doppio senso, cosa che per quanto mi abbia fatto sorridere, trasmette un tono forse stonato rispetto alle atmosfere del testo.

Traduzione “meh”, un tono scherzoso un po’ troppo basso per i miei giusti, e poi? Poi l’inconsistenza della protagonista. Capisco l’ambientazione, capisco l’influsso romantico orientale, però Hesina è la tipica protagonista troppo giovane, in mano a un’autrice che ragiona anche peggio di lei. Siamo sull’orlo di una guerra, sei stata comunque educata a salire al trono e, davvero, l’unico problema è scoprire chi ha ucciso tuo padre? Cioè ok, ma prima non possiamo evitare che ti crolli il regno addosso? No, Hesina DEVE occuparsi del processo, Hesina SA, Hesina infrange mille regole e ignora i doveri del regno… sul serio? Vabbè…

Il problema più grosso del libro è che non ha ritmo. Ogni volta che c’è un colpo di scena viene buttato in pubblica piazza, ci si aspetta qualcosa e invece nulla; prossima scena e si tira il freno a mano in attesa della prossima rivelazione.

Mi spiace doverlo dire, ma questi libro è un buco nell’acqua e mi spiace perché l’edizione è veramente bella (Oscar Vault ha fatto un lavoro sopraffino con decori e finezze varie), ma temo che questa volta il libro non lo si debba proprio giudicare dalla copertina, perché lo vorrei tanto in libreria, ma solo per esposizione perché non credo lo vorrei rileggere.

I pirati dell'Oceano Rosso

Recensione I pirati dell’Oceano Rosso di Scott Lynch

Il finale del primo libro di questa saga mi ha lasciato l’amaro in bocca. Non potevo dirlo apertamente ma, dannazione, Mr. Lynch, mi hai distrutto l’anima! Non aggiungo altro perché non amo fare spoiler a chi non ha l’ha ancora letto o magari lo sta terminando proprio ora. Dunque, abbiamo un Locke che, come noi lettori, è ferito e dovrebbe reagire a tutto quello che ha vissuto invece non ci riesce; meno male che Jean non è disposto a dare spazio a tutti i suoi piagnistei ed è pronto a tiragli qualche bel calcio nel deretano.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.

Le prime pagine sono lente, o meglio, il romanzo ingrana solo al 30%. Quindi non parliamo di un cento pagine e via in discesa, ma il volumone che abbiamo tra le mani ci fa capire che le prime trecento pagine saranno belle toste da leggere.

Poi, poi scatta di nuovo quella magia, Locke è il mio secondo fidanzato letterario (il primo sarà sempre e solo Ermanno Sensi). Come si fa a non amarlo? Jean è un compagno eccellente e l’unica cosa che manca sono altre spalle (non dico altro, torno ad asciugarmi le lacrime e a urlare nel cuscino “Mr. Lynch!”), e quando arriva il mare, e dei possibili compagni di avventure, quel maledetto e pluridannato autore, lo fa di nuovo: ci fa vivere fantastiche avventure e poi, poi ci butta nel baratro di amore e odio per una storia che ha tutto, perfino diversi colpi di scena tra finale e epilogo.

Il mare è un’ambientazione che bisogna (concedetemi il gioco di parole) saper navigare, e avevo il terrore che si sarebbe persa quel senso di avventura e intrigo tipici dei Bastardi Galantuomini. Invece tutto si amalgama alla perfezione.

Con il libro chiuso e con la sincera voglia di leggere molto altro, mi rendo tristemente conto che ci stiamo avvicinando all’ultimo volume e, per la prima volta, non voglio leggerlo: che ne sarà dopo di me? Come farò senza Locke, senza Jean, senza le innumerevoli truffe da loro imbastite? Perché Mr. Lynch non ce la regali una gioia e scrivi un quarto volume? Lo sanno tutti che questa serie non si ferma a tre volumi, ma ne ha altri in testa. Dicci, quale tributo vuoi e noi lettori lo realizzeremo per te. Non lasciarci qui a piangere sulle pagine e a vivere di sola speranza. Il nostro mondo non si più fermare al prossimo libro!

Assedio e tempesta

Recensione di Assedio e tempesta di Leigh Bardugo

Finalmente l’attesa, durata qualcosa come sei anni, ha avuto la sua fine. Ho tra le mani (si fa per dire perché l’ho letto in versione ebook) il secondo volume della trilogia GrishaVerse. Raccolgo le idee e cerco di esprimermi … sei anni … e ora… beh credo di avere bisogno del terzo volume.

Attenzione, questo volume è stato offerto da Mondadori.

È una trilogia, quindi come secondo volume è chiaro che sarebbe stato di passaggio. Per questo a molti, che durante la lettura mi hanno chiesto cosa ne pensavo e se lo consigliavo, ho risposto come già anticipato sopra. Ho bisogno del terzo volume. Devo confessarvi che i primi capitoli mi sono sembrati frettolosi se paragonati a quelli che, nella parte centrale, dilatano il tempo senza dare dei concreti passi in avanti alla trama; come se non bastasse accelerando il tutto di nuovo nell’ultima parte. Insomma scorrevole come il primo, ma ci sono di nuovo ingenuità che attribuisco anche al fatto che questa è stata una delle prime opere dell’autrice, quindi posso capire quanto sia caduta in errori abbastanza ovvi.

La cosa che tiene il lettore agganciato alle pagine è il tormentato triangolo Alina-Mal-Oscuro. Non proprio il classico triangolo amoroso fatto di indecisioni, ma la complessità di amore e odio tra Alina e colui che sente di amare con il cuore (Mal) e colui che vorrebbe uccidere, oltre a volerne il potere (l’Oscuri). È chiaro che è anche il punto più facile su cui cadere. I contrasti tra Mal e Alina sono ingenui, e le turbe di Alina sul suo potere troppo spesso superficiali: ripetutamente vengono accennate come comportamenti contrastanti che andrebbero però approfonditi e palesati anche più attivamente, soprattutto considerando che è una narrazione in prima persona. Alina aveva modo di darci molto di più, così è un po’ troppo abbozzato. Messo lì giusto per fare colore.

Abbiamo modo di conoscere meglio la famiglia reale, non dico molto di più perché i nuovi personaggi vanno scoperti leggendo. Certo è che mi ha dato più gusto questa corte rispetto a quella che troviamo nel primo volume, troppo distante dalla protagonista perché potesse attirare l’attenzione del lettore. Qui invece abbiamo effettivamente più voglia di capirli finanche arrivare ad amarli.

L’ambientazione e il mondo russo-fantasy scompare a mio parere, per mettere basi più solide agli elementi della trama, ed è un peccato perché è proprio nella prima parte che avremmo potuto vedere di più. C’è stato anche un passo avanti. Ecco che la fusione di Grisha e tecnologia danno un primo assaggio di una componente semi-steampunk, bisogna vedere se questo verrà portato avanti nel terzo e ultimo volume.

Quindi? Quindi aspetto marzo per capire se consigliare o meno la trilogia, però… ecco letto questo volume vorrei leggere altro di questo mondo e quindi sì, ho messo subito in wishlist “Sei di Corvi” e “Il mondo corrotto”. Insomma voglio una visione più completa. Ci aggiorniamo a fine marzo per il terzo volume della trilogia.