Non è una recensione facile da scrivere. Non è un libro che si possa descrivere in poche parole e anche trovare quelle giuste è davvero complesso. La vita degli ebrei nel ghetto è ben documentata, anche quella nei lager. Ma in pochi conoscono le sfumature di tortura e perversione che venivano perpetrate. La casa delle bambole racconta di tutte quelle donne ebree che, una volta deportate, venivano adibite al sollazzo dei soldati nei “campi della gioia”.
La cosa più forte di questo libro è la delicatezza onirica con cui viene raccontata la storia. Un tocco leggero che trasmette tutto l’orrore, la violenza, la brutalità. Lo si poteva già intuire dal suo autore, Ka-tzetnik 135633 (che letteralmente è il suo numero da deportato), meno noto con il suo nome Yehiel De-Nur. Quando testimoniò al processo contro Adolf Eichmann, descrisse Auschwitz come un pianeta dove i suoi abitanti non avevano nome, dove non vivevano e non morivano, non avevano famiglia o figli, ma solo un numero.
Lo stile narrativo quindi può sembrare estraniante, a volte pesante, ma allo stesso tempo lirico. Seguire la vita di Daniella, è una discesa negli incubi più perversi. Allo stesso tempo seguire la storia di suo fratello e vedere quanto fa male essere privilegiati in un campo toglie davvero la voglia di andare avanti e scoprire come finirà questa storia. Si fa fatica ad arrivare alle ultime pagine, non perché sia un libro brutto, semmai non si ha la forza di reggere alla violenza che arriva ancora e ancora, eppure noi siamo solo lettori.
Sapere che il suo autore fosse un testimone lo si capisce da moltissime cose: dalla descrizione del lavoro e dalle scene di morte che trasudano le strade nei ghetti. Di per sé alcune scene potrebbero essere la descrizione di fotografie che nessuno ha mai voluto farci vedere, eppure si sente che è tutto così reale così evidente.
Questo è un libro piuttosto raro. Il fatto che non sia stato tradotto rende la mia edizione sì di valore ma ha una traduzione davvero molto vecchia, unica vera pecca di un libro che dovrebbe tornare nelle librerie e esser fatto leggere anche dai più giovani. Sì anche se c’è una violenza inaudita.