Recensione Un uomo da conquistare di Julia Quinn

Recensione Un uomo da conquistare di Julia Quinn

Penelope ha la veneranda età di ventotto anni, ormai zitella e senza speranza, ha sempre e solo desiderato un uomo: Colin Bridgerton. Non ha mai rifiutato una proposta di matrimonio, ma del resto nessuno si è mai azzardato a farne una. Ora che però il suo grande amore (anche se immaginario) è tornato a Londra, è pronta a sognare di nuovo, prima che lui riparta e la lasci di nuovo sola.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Il problema che tutti incontreranno nel leggerlo, avendo anticipatamente visto la serie tv, è il mega-spoiller che ha saputo fare e che toglie molta suspance a questo volume. Partiamo con il dire che qui la scena è divisa tra, Penelope ormai zitella, e Colin (il terzo Bridgerton) ancora scapolo e senza una chiara direzione da prendere per la sua vita.

I due personaggi si completano perfettamente e finalmente (rispetto al terzo volume che avevo trovato scialbo) si ritorna alla frizzantezza tipica di Julia Quinn. Penelope con il suo modo ottimistico di affrontare la società che la sottovaluta, contrapposta a Colin, il ragazzo reputato da tutti perfetto che si sente perso senza obbiettivi. Per certi versi ricorda molto il percorso fatto dal fratello Benedict, ma qui finalmente la storia non è un canovaccio così scontato che riprende la versione romantica di Cenerentola.

Ho parlato di spoiler, ma non vi dirò quale e non aggiungerò altro sulla trama, perché penso sia davvero un peccato che Mondadori abbia aspettato tanto. Fossi stata in loro avrei pubblicato questo volume a inizio dicembre, almeno si poteva avere la possibilità di leggere la serie con questo fondamentale dettaglio.

Insomma, se avete amato la serie tv, sono certa che vi perderete anche tra queste pagine. Certo, niente duchi, ma fidatevi amerete anche Colin.

Wilder girls

Recensione Wilder girls di Rory Power

Una scuola di sole ragazze su un’isola. Tutte affette da un morbo misteriose che a tratti le deforma, trasfigurandone una parte fino a renderle mostruose e sempre più vicine alla morte.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Ci sono tante cose che proprio non funzionano, a mio parere, in questo libro. Troppe ingenuità strutturali, troppi momenti spesi in frasi di elucubrazioni che non servono minimamente alla trama. Una buona parte del testo non da nulla al lettore. Ed è un peccato perché ci sono molte cose che, per esempio Hetty, avrebbe potuto trasmettere al lettore sul TOX (il morbo che le affligge) che invece viene gestito come un contorno. L’esempio più ovvio è quello della scuola. Sono tutte trasfigurate dalla malattia in qualche modo, eppure lo ricorda giusto ogni tanto. Ribadisce i “difetti” delle altre protagoniste, ma non si sofferma mai a raccontarli davvero: non vediamo grandi conseguenze se non il fatto che Reese non può sparare. E poi tutte vogliono sopravvivere? Sul serio? Nessuna che da trasformata desidera di morire? Nessuna che alla fame, alla prigionia, risponda dando fuori di matto? Tutte lì, rinchiuse in una scuola, nei dormitori, con due adulti e tutte che rispettano le regole? Sul serio? Hanno le armi e a nessuna in due anni è mai venuto lo schizzo di prendere il potere e mandare a quel paese tutto? Non dico che dovesse andare così la storia, ma si menano per un tozzo di pane ammuffito, e poi vivono in pace e rispettano le regole? È impossibile che siano tutte belle tranquille ad aspettare la cura o la morte.

Anche la dinamica LGBT sembra messa lì così giusto per dare colore, e il rapporto Reese-Hetty-Byatt mi ha fatto storcere il naso. Un po’ perché sembra essere messo lì a casaccio, toccato, sfiorato in alcune scene e poi è “ammore”. Devo dire che essendo il secondo F/F che leggo, ancora non riesco proprio nemmeno a provarci ad empatizzare con i personaggi, quindi qui lo dichiaro, preferisco gli M/M.

Un libro con una cover da sogno che però non riesce proprio a dare di più al suo interno di un po’ di curiosità. Sconsigliato, bocciato, passate oltre. Ok è la mia opinione ma riassume tutta la delusione dell’averlo letto.

Con o senza di noi

Recensione di Con o senza di noi di Valentina Sagnibene

Nuvola vive fuori dal mondo, chiusa nei suoi disegni, alla ricerca del volto di un padre di cui non conosce nemmeno il nome. Tommaso invece è il ragazzo perfetto, quello invidiato e amato da tutti, eppure l’unica persona  che non gli vuole davvero bene è se stesso. Quando si trovano sul tetto lei è seduta pericolosamente sul parapetto. Lui l’ha raggiunta con molta fatica, visto l’incidente che ha avuto alla caviglia. Dal loro incontro scaturisce qualcosa a cui, nessuno dei due, ha il coraggio di dare un nome.

Attenzione questo libro è stato fornito da DeA Planeta Libri.

Mentre leggevo questo volume pensavo “sì, carino, un buon young adult”. Una volta terminato ho fatto davvero fatica a trovare le parole: non è solo un buon young adult. Cioè poteva essere solo quello fino al finale, quando l’autrice decide di strappare il cuore dal petto di noi lettori, per gettarlo nel cestino dei rifiuti differenziati, perché comunque siamo nel mondo reale ed è giusto rispettare l’ambiente.

Scusate il sarcasmo ma, mentre sto scrivendo queste parole, ho una notte insonne alle spalle ripensando a una scena che (NO, niente spoiler) mi ha ossessionato a tal punto dal rivederla. come in un incubo, una, dieci, mille volte. Forse è questo che rende questo libro qualcosa di più di un semplice libro young adult.

Partiamo col dire che l’autrice non ha una narrazione a flusso continuo. Approfitta dei punti di vista di Tommaso e Nuvola per staccare l’uno dall’altro, lasciando a volte dei vuoti tra una scena e l’altra dove è il lettore a doverli colmare con la propria soggettività, perché alla fine una vita non ha bisogno di essere raccontata in ogni suo secondo; anche perché è grazie a quelle pause che si capisce quanto questa storia non abbia bisogno di altro. Bastano le pagine che ha scritto, basta quel finale, anche se noi vorremmo di più, anche se non siamo pronti a chiudere il libro per passare ad altro.

Ci sono decine di aspetti che rendono questo volume un vero gioiello: Milano come ambientazione, mostrata romantica ma anche fredda nei suoi divari tra famiglie abbienti e quelle che sopravvivono in un bilocale. Billie è un personaggio che sembrerebbe solo una macchietta ma, acquista una sua tridimensionalità e mi piacerebbe leggere un libro solo su di lei. A questo vanno ad aggiungersi anche quegli aspetti tipici di un romanzo ambientato a scuola: l’atmosfera adolescenziale, le amicizie così difficili da trovare eppure così semplici da godere, la solitudine per essere una persona diversa ma che alla fine è circondata da una moltitudine di individui che vivono quello stesso disagio, solo che troppo spesso ci spaventa aprirci a loro e condividere quanto a volte la vita faccia molto male.

Insomma una lettura che vi consiglio caldamente se siete alla ricerca di uno young adult di cui vi resterà nell’anima la storia per giorni e giorni. Un romanzo che ha amore, dolore, amicizia e molto altro. Consigliatissimo, ora torno a piangere e a cercare la forza di passare ad altro, ma non so se ci riuscirò subito.

Il mondo di Milo

Recensione Il mondo di Milo di Richard Marazano e Cristophe Ferreira

Milo è molto spesso solo e, trovando un pesce nel lago vicino casa, ignora che sarà per lui l’inizio di un’avventura molto particolare oltre la sua sponda.

Attenzione questi albi sono stati forniti da Renoir Comics.

Che il fumetto francese vanti una delle maggiori tradizione a livello europeo non lo possiamo negare, eppure devo confessarvi di non averne letti molti. È l’ennesima delle mie carenze ma, ammettiamolo, non è così facile sapere tutto di tutti. Se però mi viene data la possibilità di colmare questi gap, non mi tiro indietro, e anzi con piacere vi pongo rimedio.

La serie di cui vi parlo oggi (ho letto i primi tre volumi, che equivalgono a 6 dell’edizione originale) ha dei toni molto particolari: è facile ricondurla ai mondi immaginati da Miyazaki. In alcuni punti vi confesso di aver sentito l’ispirazione a opere come Ponyo, mi è sembrato quasi un omaggio al lungometraggio. An altri si può scorgere anche “The boy and the beast”. Non saprei dirvi se sono i colori o l’ambientazione, ma l’impressione è che potrebbe aver in qualche modo influenzato la realizzazione dell’opera. Il disegno non è manga, ma potrebbe passare tranquillamente per un made in Japan: una via di mezzo tra Mohiro Kitō e appunto Hayao Miyazaki. Le tavole hanno colorazioni molto tenue, che spesso quasi contrastano con le onomatopee, particolari scene d’azione o le grida dei protagonisti che non sono ben amalgamate al disegno. Questo forse è un tratto che ci riporta più in europa, abbandonando la chiara componente nipponica, che però sembra urlare nelle tavole degli sketch contenuti alla fine di ogni volume.

La storia è un susseguirsi di avventura e magia, dove l’altra sponda del fiume si rivela un mondo che si ama da subito rimanendovi piacevolmente immersi, scoprendo le gioie e le difficoltà che coinvolgeranno a Milo. L’unica pecca è che siamo al terzo volume e certamente ne saranno previsti altri tre. Odio le serie in corso, perché vorrei leggere tutta la storia d’un fiato e doversi fermare, in attesa dei prossimi volumi, è un dispiacere.

Il mondo di Milo é consigliato a chi cerca una serie che sta tra il fumetto e la graphic novel. Una storia ideale per ragazzi, ma che fa sognare anche gli adulti. Ideale per chi ha bisogno di qualcosa di diverso e, per quanto vicino nello stile, molto lontano come provenienza dal Giappone.

Utopia

Recesione di Utopia (Serie tv)

Già vi sento “La Chimera che recensisce una serie tv. Sul serio? Ecco che mi diventa commerciale e si mette a fare le maratone per raccontarci tutto quello che vede”. Stiamo calmi, questa è un’eccezione che conferma la regola. Qui si parla di libri, ma soprattutto di quello che in qualche modo mi lascia un segno e questa serie tv mi ha fatto riflettere. Credo quindi sia giusto, non solo consigliarla, ma farla scoprire a quanti di voi potrebbero apprezzarla come me. Non aspettatevi una serialità per questo genere di recensioni, perché vi confesso che è raro che una seria mi faccia gridare “Genio” in stile René Ferretti.

Partiamo con il dire che questa è una di quelle visioni da riempimento, in uno di quei momenti in cui, non sai cosa guardare, e ti parte la reminiscenza di quel collega che ti ha consigliato di vedere una serie tv di cui ricordi, ma di cui praticamente non hai mai sentito parlare dagli addetti del settore: Utopia. Un nome un programma. La trama non tradisce: in una casa abbandonata viene trovato un fumetto, Utopia appunto, seguito di un altro grande successo, Distopia. I ragazzi lo mettono all’asta a una convention del fumetto e finiscono molto male perché, oltre ai nerd, ci sono ragazzi che lo cercano perché tra le sue pagine sanno che troveranno la spiegazione di qualche nuovo virus, e magari delle cure. Ed effettivamente nel fumetto, Distopia prima e Utopia dopo, è nascosto qualcosa: piccoli indizi parlano dell’avvento delle grandi epidemie moderne. Utopia sembra essere l’inizio di qualcos’altro. Non vi svelo molto altro, ma vi basti sapere che fumetto e realtà si fonderanno, trasformando l’idea strampalata di un complotto come invece una realtà tremenda.

È una serie tv che viene proposta con un forte disclaimer che comunica, a chi la sta vendendo, che i fatti narrati non hanno alcun collegamento con il Covid. Per certi versi fa sorridere vedere come i risvolti legati alla nuova pandemia raccontata nella seria sia diametralmente opposta. La reazione alla scoperta dei vaccini, da noi accolta troppo spesso da timori e dubbi, nella serie viene osannato e reclamato da tutti. Anche per la diffusione del virus nel mondo reale si teorizza una produzione in laboratorio. Nella serie invece viene assodato che il modo in cui si sia diffuso è sconosciuto, ma la sua provenienza è peruviana.

Andiamo però avanti. Perché ne sto parlando? Allora per prima cosa lo faccio perché è un prodotto che trovo molto diverso da quello che sta andando solitamente in onda sulle varie piattaforme di streaming (Utopia è su Prime). Non ha una narrazione perfetta, a volte pecca di fretta, ma credo sia un prodotto interessante di cui ho sentito parlare per caso e di cui credo, se come me amate libri particolari, certamente potreste apprezzarla. Non segue il solito canovaccio e ha idee che non annoiano banalmente. C’è un pizzico di quella componente di imprevedibilità che da una speranza a questo mercato inflazionato da trame uniformate.

Mentre mi metto a lavorare a questo articolo, scopro per puro caso che Utopia altro non è che un remake della serie inglese omonima del 2013 (insomma innovativa ma su un canovaccio già sperimentato) che sono curiosa di recuperare per confrontarla con la nuova. La versione originale era ambientata a Londra, trasformandola in una possibile serie epica perché in Inghilterra, questo genere di storia, avrebbe parecchio da raccontare.

Insomma qualcosa di particolare, un pizzico di bianconiglio che non guasta mai, il mondo dei fumetti (che sono un media che amo tantissimo), e le tre domande che vi tormenteranno: dov’è Utopia? Dove si trova Jessica Hyde? Dov’è il bambino?

Zar

La pazza che amava gli Zar

Il titolo di questo mio articolo potrebbe tranquillamente essere quello di un libro. C’è una parte di me che probabilmente lo scriverebbe, l’altra di certo lo comprerebbe. Oggi siamo qui per fare voli pindarici sulla mia fissazione Made in Russia. Vi avevo già parlato di Alice, ma dei Romanov ne accenno giusto ogni tanto qualcosa su Instagram.

Non sono mai riuscita a spiegare apertamente al mondo come mai amo così tanto la tragica storia di Nicola II e della sua famiglia. Amore che poi è stato poi esteso a tutta la nobiltà russa con un particolare occhio di riguardo ai Romanov. Eppure con questo articolo ci provo. Partiamo dicendo che non sono tanti anni, almeno non quanti quelli per la fissazione da “Mondo delle meraviglie”, che acquisto in maniera (quasi) incontrollata libri sull’argomento, anche se le sue origini sono molto più vecchie.

Inverno 1998 (circa). Il film lungometraggio “Anastasia” è arrivato anche nelle case degli italiani grazie a quel reperto semi-archeologico che erano le videocassette. Una bambina di dodici anni, nella provincia di Brescia, la sta consumando come se non ci fosse un domani. Dentro di lei spera che si nascondano dei ricordi dimenticati che la portino lontano dal suo quotidiano: sogna di essere una principessa russa, spera di arrivare un giorno a trovare il suo posto nel mondo. Canta le canzoni, ha una fissa in particolare per “Quando viene dicembre”. È così malata di Anastasia che perfino una sua zia le regala il ciondolo che compare nel lungometraggio. Ciondolo che ha ancora oggi (da qualche parte a casa dei suoi genitori), e di cui spera un giorno di trovare il carrillon da aprire per poter svelare la sua vera identità.

Ecco quella piccola bambina sono io, e fino a quando non mi faranno un esame del DNA che dimostri che non sono una discendente dei Romanov, una piccola vocina dentro di me mi ricorda che forse un giorno, a dicembre, potrei scoprirmi davvero una principessa russa. Facciamo però le persone serie e diciamo che, ora che sono adulta, questo rimane un sogno. Ma la me giovane dovette scontrarsi con la verità storica (oltre alla povertà quotidiana e al non avere una mia corona) nascosta dalla finzione, e si rivelò traumatica: conoscere la vera storia di Anastasia e dell’ultimo Zar di Russia mi lasciò molto triste.

Do per scontato che sappiate a grandi linee dei fatti, non soffermiamoci su giusto o sbagliato, andiamo dritti sulla verità che è confermata anche dai ritrovamenti dei corpi (oltre che dalle testimonianze di coloro che ne presero in qualche modo parte a quella notte del 17 Luglio 1918 a Ekaterinburg): l’intera famiglia reale, composta non solo dallo Zar e da sua moglie, ma anche dalle quattro figlie e il figlio Alessio, morirono. Nessun sopravvissuto. Non riesco a ricordare la prima volta che lessi completamente il fatto storico così come era. Di vivido nella mia mente è rimasta la sensazione di incredulità per quelle morti. Non so come mai abbia sentito così tanta unione con dei reali a cui non devo nulla, se non la fantasia di pomeriggi fine anni novanta, in cui sognavo di farne parte. Eppure è sempre stato un tarlo. Inizialmente speravo nella loro sopravvivenza, in altre volevo sapere tutto, vedere gli scheletri, controllare quanto si sapeva di certo, oltre che informarmi della decina di “aspiranti sopravvissuti” a quella notte di sangue.

È cominciato con il “voglio sapere” che presto è divenuto “voglio tutto quello che è stato scritto su di loro”. Nella mia libreria (inscatolata al momento) ho biografie, diari (questi in lingua inglese), raccolte fotografiche di Nicola II e della sua famiglia. Poi sono passata a cercare informazioni su chi li circondava, da Rasputin (di cui ho anche la rarissima biografia scritta dalla figlia) a Felix Yusuppov che lo uccise (altro libro rarissimo). fino a poi estendere la ricerca alla nobiltà sopravvissuta, e perché no, informarsi sui predecessori di Nicola II come Pietro il Grande e la odiatissima Caterina la Grande. A tutto questo si aggiungono i romanzi ambientati nelle epoche salienti della corte. Poi ho sempre avuto una passione per la moda pre ‘900 e quindi, anche in quel reparto, ho libri che analizzano usi e costumi della corte. Insomma se è coinvolto uno Zar o la Russia, devo averlo.

Vi sento già chiedermi “Ma li leggi?” la risposta è “NI” alcuni li leggo, altri (soprattutto quelli inglesi) per il momento restano in libreria. Un po’ perché ho paura di non godermeli appieno leggendo/traducendo, un po’ perché sono quelli che vorrei sfruttare per scrivere un libro in futuro.

Cosa abbiamo imparato da questo articolo? La prima cosa è che io sono sempre povera anche per colpa di questa mia mania. La seconda è che spero di poter avere lo spazio, e il tempo, per riuscire a  leggere tutto quello che ho comprato e magari, perché no, scriverne.

Le necessità del bene

Recensione Le necessità del bene di Massimo Trifirò

Chi di noi non ha studiato almeno una volta i fatti della Rivoluzione francese? Che si siano viste le date e appresi i fatti salienti è cosa comune, dopotutto il programma scolastico prevede di farla conoscere a tutti gli alunni italiani. Eppure le sfumature rosso sangue, che caratterizzavano il regime del terrore, sono spesso occupate da poche righe, o si riducono a brevi spiegazioni. Il loro approfondimento però trovo che offra spunto di riflessione importante.

Attenzione questo libro è stato offerto da NeptUranus Editore.

Ci sono periodi storici di cui non smetterei mai di leggere. La rivoluzione francese è forse quello che mi intriga maggiormente. Lo è per la sua importanza storica, ma anche per i risvolti crudi che ha mostrato ai posteri. Se pensiamo ai suoi fondamenti “libertà, uguaglianza e fraternità” è quasi cacofonico poi pensare che, di quel periodo, è stata la ghigliottina a cercare di farli rispettare. Le teste che rotolavano per la salvezza della Francia furono certamente troppe e molto spesso non necessarie. Eppure non si pensa al voler approfondire le storie di sottofondo di queste esecuzioni. Si pensa Luigi, a Maria Antonietta, ai nobili che sfruttavano il popolo, agli ecclesiastici che sfruttavano la fede gente, tutti colpevoli in qualche modo. Forse tra di loro c’erano innocenti, uomini e donne finiti nel fascio fatto per il bene comune, per la salute pubblica, carne da macello necessaria per portare avanti il cambiamento.

È il caso delle suore del monastero di Compiègne, donne che avevano votato la vita alla fede e alla clausura, che si ritrovarono accusate di fanatismo da chi usava la fede nel cambiamento per giustificare il loro martirio.

C’è da dire che il libro in sé è davvero molto breve. Una pillola di storia, cruda e nuda, per scoprire questo piccolo fatto d’orrore. Un peccato sia relegato a poche pagine perché se ne potrebbe tranquillamente ricavare un romanzo. Trovo che sia una lettura utile per chi ama la storia e cerca un qualcosa di diverso per approfondirla. L’autore sa il fatto suo e, anche se contrappone momenti di narrazione all’analisi del fatti storici, porta i lettori nel furore di sospetti, accuse e fanatismi con accuratezza, lasciando lontane dalle pagine la pesantezza da professore che cerca di insegnarti la storia attraverso date e avvenimenti.

Pillole di storia che però mi sarebbe piaciuto leggere per pagine e pagine, ma forse questo libro è veloce nel suo narrare, così come lo fu la ghigliottina nel dare giustizia.

Il gatto che voleva salvare i libri

Recensione Il gatto che voleva salvare i libri di Sosuke Natsukawa

Rintaro ha perso il nonno e dovrebbe fare il possibile per vendere i libri della libreria che gestiva, per poi trasferirsi da una Zia che non conosce. È una buona scusa per non andare a scuola. Lui in realtà è un ikikomori (persona che non vorrebbe mai avere contatti con il mondo esterno e che di solito si rinchiude nella propria stanza senza uscirne mai), ma l’arrivo di un gatto parlante di nome Tora stravolge tutti i suoi programmi; nel mondo ci sono libri da salvare e lui è la persona giusta per questa missione.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Vi confesso che i libri che parlano di libri, librai, librerie sono quelli che compro volentieri, e poi abbandono sugli scaffali senza mai trovare lo stimolo di leggerli.

Non è che lo faccia apposta, semplicemente è che mi ispirano tantissimo quando li vedo in negozio, ma una volta a casa non riesco proprio a iniziarli. Che cosa mi ha spinto quindi a chiedere la copia da leggere a Mondadori? È un libro scritto da un giapponese e dopo il mio grande amore per Murakami, mi domandavo se sarebbe bastato il “Made in Japan” a far scattare la scintilla, e farmi abbandonare questa brutta abitudine legata ai libri con protagonisti altri libri & co.

Come tutte le letture che arrivano dall’estremo oriente, mi aspettavo “A” e mi sono ritrovata con “Omega”. E come sempre diventa difficile parlarne perché mi risulta una lettura insolita.

Partiamo dal dire che questo libro non lo promuovo a pieni voti, non perché si sia rivelato tutt’altro, semmai è il senso minimale della narrazione a lasciarmi un poco perplessa. È una storia surreale, che però non mostra abbastanza dei personaggi coinvolti. Le tematiche sono importanti, forti, credo che parecchi passaggi andrebbero fatti leggere ai giovani come anche a chi adulto ha abbandonato il romanticismo per la lettura. Inoltre ho trovato il registro molto alto, quando avrei valutato un adattamento calibrato su lettori più giovani.

Tornando al libro. Il viaggio attraverso questi misteriosi labirinti dove alcuni lettori si sono trasformati in tiranni, atti a opprimere e distruggere i libri, è uno spaccato del nostro quotidiano: l’incontro con chi deve leggere migliaia di libri, senza nemmeno apprezzarli, a chi cerca di riassumerli all’inverosimile per renderli accessibili, fino a chi considera i libri solo un business e, in quanto tale, devono essere quello che il pubblico cerca. Racconta molto bene l’editoria mondiale. La morale del libro non ve la svelo, ma è importante ricordare che: per quanti libri si stampano o si leggono, bisogna trovare la propria dimensione d’amore con il testo, con quello che rappresenta nelle nostre vite, andare oltre al semplice oggetto, dedicargli la cosa che ha più valore in assoluto: il tempo.

Un libro particolare ideale per chi ama lo stile letterario nipponico, molto diverso dal nostro, ma anche molto pieno di significato. Non mi ha sorpreso come avrei voluto, ma potrebbe sorprendere voi.

La Repubblica dei Ladri

Recensione La Repubblica dei Ladri di Scott Lynch

Non avevo timori, sapevo che Lynch ci avrebbe riservato un seguito ricco. Ero pronta a qualcosa che rimescolasse le carte in tavola per poi ricominciare a farci sognare, ma non ero pronta per Sabetha. La aspettavamo tutti, dopo due volumi, a parlare della rossa più desiderata da Locke. E’ inutile, quando lei pian piano si prende lo spazio della storia. ci rendiamo conto che anche questa volta Lynch ci farà soffrire tutti.

Ti amo Lynch, ma dannazione dacci altro. Ma non distraiamoci: c’è un libro da recensire, per le minacce all’autore ci sarà tempo.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Cala l’asso il nostro caro scrittore ,che ha ormai imprigionato il nostro cuore tra le fila dei Bastardi Galantuomini. E non un asso qualsiasi, usa quello di cuori. Porta finalmente sotto i riflettori Sabetha, la misteriosa figura femminile della banda, il cui nome era solo sussurrato a fior di labbra dai protagonisti.

È stata una delle letture più lunghe e intense fatte in questi ultimi mesi. Ho diverse scadenze ma nessuno mi avrebbe potuto mettere fretta. Avevo bisogno di dedicarmi a Locke e capire se avrei amato, odiato o invidiato Sabetha.

Prima di parlare a carte scoperte, premetto che mi aspettavo un colpo di scena che portasse avanti la trama. No, mio caro Mr. Lynch non avrei mai creduto che avresti lasciato morire il protagonista. Sei uno stronzo, più di Martin, ma non così infame da toglierci la colonna portante da sotto i piedi. Locke insomma ce la fa, e sebbene me lo aspettassi, non credevo che sarebbero finiti assoldati dagli stessi maghi che tanto odiano.

Tornano le reminiscenze con il passato e questa volta sono autentiche pugnalate. Vogliamo sapere di più, vogliamo capire cosa sia successo davvero tra Locke e Sabetha. E pluridannazione, ogni pagina mi terrorizzava, perché temevo che l’autore avrebbe di nuovo distrutto tutte le mie speranze. Mr. Lynch mi farà finire in analisi, perché leggerlo è come ricevere un caldo abbraccio: ci si sente rassicurati e amati. Poi però quel bastardo ti pugnala sempre e rimani con un libro finito e una ferita aperta. Direi che questa volta ho sofferto meno, ma in ogni caso fa sempre male quasi quanto la prima volta.

E adesso che tutto è finito mi domando che ne sarà di noi, che aspettiamo il volume quattro e cinque di questa serie. Libri che sono stati annunciati ma di cui per il momento non si sa nulla di certo. Mentre aspetto, come sempre vi ribadisco: se ancora non lo avete fatto leggete questa serie. Non fate cazzate facendovi spaventare dalla sua mole, fidatevi, arriverete alle ultime pagine e vorrete leggerne ancora e ancora.

I mondi di J.R.R.Tolkien

Recensione I mondi di J.R.R.Tolkien di John Garth

La Terra di Mezzo è intorno a noi. Nessuno leggendolo può pensare diversamente. Ci sono tantissimi elementi che fanno capire che non ci troviamo in un luogo di invenzione, semmai è Tolkien ad aver portato nella terra di mezzo ciò che più amò, ma anche ambientazioni che lo segnarono indelebilmente.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Se viene facile riconoscere nella Contea la campagna inglese, che lo segnò nell’infanzia e non solo, trovo sia molto sfizioso questo viaggio per l’Inghilterra e non solo, per poter arrivare a capire come siano stati plasmate le terre, i boschi, fino alle torri che caratterizzano i suoi romanzi.

È inutile negare che questo volume è l’ennesimo compendio necessario per chi, come me, ha sempre bisogno di una nuova boccata d’aria che venga da Moria, da Bosco Atro, da Collevento, fin anche da Granburrone o Mordor. In questo periodo in cui non c’è dato modo di viaggiare, farlo attraverso le storie che amiamo credo sia, sebbene una consolazione, una buona fuga da questa pandemia che ci tiene spesso chiusi in quattro mura e ci nega ogni possibile svago turistico.

Questo volume snocciola, non solo la biografia di Tolkien, ma sviscera come pian piano le influenze della sua vita quotidiana siano arrivate a dare colore e forma a un mondo che non è mai stato semplicemente uno sfondo per le avventure che le hanno abitate. Ho visto solo uno scorcio della campagna inglese, eppure ho riconosciuto quel verde che poi è lo stesso che davvero ha dato le basi per Hobbiville. Anche se vi confesso che per me la vera Contea è Case di Viso, un luogo quasi totalmente diverso da quello descritto dal suo autore, ma che ho visitato e vissuto proprio mentre leggevo quei capitoli.

C’è una perplessità che mi sento di esprimere su alcune cartine all’interno di questo volume. Spero che siano errori di conversione, ma per un attimo avevo sperato che in Italia ci fossero luoghi da ricondurre in qualche modo a Tolkien. Ho invece notato che la cartina era posizionata in maniera errata rispetto ai punti indicati, che erano relativi alla svizzera. Quindi nulla, non c’è speranza di poter ripercorrere quegli itinerari a breve.

C’è molto su Tolkien e sono certa serva alla mia libreria, ma anche alle vostre. Se ancora non lo avete fatto andate subito a recuperare questo libro, lo so che avrete poco spazio, ma lo troverete appena lo avrete tra le mani.