Ciclo di Earthsea

Recensione La saga di Terramare di Ursula Le Guin

I puristi lo chiamano “Ciclo di Earthsea”, qualcuno conosce il non proprio riuscito lungometraggio dello studio Ghibli “I racconti di Terramare”, finalmente però questa saga si trova racchiusa in un volume unico, pronta a portare i lettori in un arcipelago magico e unico.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Che la chiamate in un modo o nell’altro, l’arcipelago in cui sono ambientate le storie create da Ursula Le Guin risultano un mondo diverso rispetto a quello che fino a quel momento (parliamo del 1968) si poteva trovare nei libri fantasy. È la stessa autrice a parlare di come alla sua stesura si fosse resa conto che gli unici protagonisti e maghi delle letture più in voga fossero quelle di uomini bianchi, anziani barbuti, con grigie vesti pronti a guidare l’eroe di turno. Invece la sua scelta verte su un protagonista giovane mago, che cresce accanto al lettore; una scelta che al giorno d’oggi non ci sembra così innovativa ma per i suoi tempi lo fu. Come se non bastasse gli abitanti di Terramare hanno la carnagione che dal bronzo arriva a tonalità più scure, una scelta che pochi trasmetteranno attraverso le copertine e illustrazioni (guardate anche solo il trailer del film Ghibli) e che in questa edizione è ben sottolineato.

Una storia innovativa che proietterà il fantasy in una dimensione più complessa della semplice narrativa di genere. Ursula trasmette attraverso Ged, e gli altri protagonisti, quanto il fantasy possa essere letteratura, non semplice intrattenimento, tematica che la stessa autrice ribadisce nelle postfazioni.

L’ambientazione è un complesso arcipelago di isole, non abbiamo quindi il tipico cammino verso mondi sconosciuti, i personaggi si muovono su navi. A questo si aggiunge anche la vastità di popoli e creature che lo abitano. Non annoia mai, si passa gran parte del tempo anche a controllare i nomi, a seguire i viaggi delle navi, lungo la mappa all’interno del libro.

L’ambientazione è esotica, il protagonista giovane, che cosa dovrebbe renderlo così profondo? Le tematiche trattate nei libri non sono semplicemente l’ennesima trasposizione del viaggio dell’eroe, se prendiamo il primo libro, non esiste un antagonista da sconfiggere. Ged deve affrontare le conseguenze di un suo errore, non abbiamo una guerra, o un prescelto: il personaggio principale è eroe come anche nemico di sé stesso. Alle tematiche poi si aggiunge uno stile narrativo molto vario, i capitoli sono lunghi, con pochi dialoghi e tantissimo spazio alle storie dell’arcipelago; ci si trova a leggere pagine e pagine e quasi sembra che il libro non finisca più, eppure non è appesantito da descrizioni o divagazioni. È un fantasy dal sapore classico con un pizzico di innovazione, che si sente ancora oggi dopo tutto il tempo passato dal primo libro.

Se siete dei cultori del genere certamente lo avrete letto, e se non lo avete ancora fatto (malissimo!) è da recuperare all’istante. Una pietra miliare nel genere in cui solo gli uomini sembrano trionfare nelle classifiche di vendita, eppure questa donna ha saputo scrivere di meglio, anche se è rimasta a mio parere troppo in ombra. E’ ora di riscoprirla e, perché no, con un’edizione di lusso come questa.

Catena Alimentare

Recensione Catena Alimentare di Stefano Tevini

Gootchi è una nullità. In un mondo dove le tensioni tra colleghi si risolvono sul ring della palestra aziendale, dove i viaggi vacanze sono scanditi da attività paramilitari, dove i reality show offrono pestaggi all’ultimo sangue, essere all’ultimo gradino della scala sociale equivale a rischiare di perdere tutto. Un amico però gli consiglia di reagire e di seguire un percorso con il noto life coach Gooroo. Questo è l’inizio della scalata per la cima della catena alimentare.

Attenzione questo libro è stato offerto da Stefano Tevini.

Ho letto quasi tutto di questo autore e ogni volta non posso che riassumere il suo lavoro con l’aggettivo “Teviniano”. Stefano si sente proprio in queste pagine, come sempre. È suo, lo rispecchia, a volte mi sembrava quasi di sentirlo leggere a piena voce nella mia mente. Ma cosa significa che è Teviniano? Significa che questo libro non ha confini, non ha paura di portare sulle pagine la violenza, il razzismo e il sessismo. Già perché “Catena Alimentre” mostra un viaggio verso la creazione di un mostro.

Gootchi è il peronaggio che dovrebbe essere l’eroe e invece la sua metamorfosi da uomo represso e infelice lo porta a diventare un essere sempre più odiabile, che ci fa schifo compiendo azioni riprovevoli eppure è felice si sente realizzato. Quanto è distante, dalla nostra realtà, questo mondo in cui essere odiosi paga in visualizzazioni, in cui il singolo ha il diritto di fare tutto quello che ci fa sentire realizzati?

Le prime pagine mi hanno ricordato moltissimo “Fight club”, eppure si capisce pian piano quanto invece il mondo di “Catena Alimentare” sia più oscuro: non serve un io “cattivo” a portare il personaggio alla perdizione, anzi, è semplicemente l’essere se stessi seguendo gli ideali di una società a piramide, dove non conta la base ma arrivare alla cime; il migliorarsi a rendere Gootchi libero di essere uno stronzo, il migliore in assoluto infischiandosene dei sentimenti, di chi lo circonda.

Il tocco di classe poi sta nei nomi: Gootchi, Gooroo, Sis Ko, Renò tutti nomi che fanno riferimento a marche Gucci, Guru, Cisco e Renault un aspetto che mi ha trasmesso, appena messo a fuoco il gioco di parole, come le persone non avessero diritto a una personalità propria, perdendo l’identità e assumendo nomi meno banali in un mondo dove è tutto immagine, dove non ci sono veri diritti.

Un libro che si legge in poche ore e costruisce un mondo che dovremmo odiare, eppure non è così distante dal nostro, dove la violenza ha più click della divulgazione. Siamo tutti capaci di leggere storie in cui il canovaccio è quello del viaggio dell’eroe, ma quanti sarebbero in grado di capire e affrontare il viaggio verso il mostro? Vi invito a mettervi tra queste pagine e vedere quanto sia semplice, proprio come spesso accade anche nel mondo reale, forse siamo solo mostri in attesa della nostra occasione?

ultima gru di carta

Recensione L’ultima gru di carta di Kerry Drewery

Ichiro è un nonno che ha nascosto la pena di un evento terribile quando aveva solo diciotto anni: in una giornata estiva, come molte altre, ha visto la sua città, Hitoshima, scomparire. Una bomba ha cancellato tutto, le cui conseguenze sono molto più tremende e dolorose di quelle che fino ad allora avevano colpito il suo paese. Il racconto della ricerca della sua sopravvivenza insieme al suo migliore amico Hiro e la ricerca della piccola sorellina Keiko, svelano alla nipote che in nonno Ichiro che c’è un grande rimpianto legato alla sua fortuna di essere sopravvissuto.

Attenzione questo libro è stato offerto da Rizzoli.

Tra pochi giorni saranno dieci anni esatti dalla mia visita a Hiroshima. Nel mio viaggio nella terra del sol levante ho voluto fare tappa in quella città, attraversando tutto il Giappone in treno. Ancora oggi è difficile trovare le parole quando racconto l’emozione e le lacrime, che da sole iniziarono a bagnarmi il volto, mentre scendendo dal tram e mi trovavo davanti lo scheletro della cupola del Memoriale della Pace. È un luogo che, nonostante i grattaceli, conserva ancora tutto quel dolore. Per questo ho letto questo bellissimo libro; per il momento non ho modo di mettere in programma un nuovo viaggio verso Hiroshima, eppure sento di doverci tornare, almeno con il pensiero, attraverso una storia.

Non è un libro scritto da un sopravvissuto, nemmeno da un giapponese, e un poco si sente in alcune pagine, ma non mi sento di condannarlo: il miglior libro per ragazzi sulla Shoah che abbia mai letto non era scritto da un sopravvissuto, tanto meno da un ebreo. Ci sono parti della storia la cui memoria non deve essere legata unicamente ai sopravvissuti, anzi, un bravo scrittore può portarla avanti attraverso nuove storie che, non solo facciano rivivere quei momenti, ma insegnino anche l’importanza di tramandarle.

Dal titolo mi aspettavo tutt’altra storia, conosco molto bene infatti la leggenda delle mille gru necessarie per realizzare un sogno, e so anche quanto sia legata questa tradizione a Hiroshima, dove il Monumento della pace dei bambini ha una teca di dimensioni enormi dove chiunque può portare le sue mille gru, o anche solo lasciarne una. Durante le celebrazioni viene infatti donato a turisti e visitatori, un foglio di carta e le istruzioni per costruirla e l’invito a passare proprio al memoriale per lasciarla nella teca. Non vi svelerò come l’autrice l’ha utilizzata nella storia di Ichiro e la piccola Keiko, ma devo confessare che mi ha commosso parecchio e non è affatto quello che mi aspettavo.

Ci sono un paio di scelte stilistiche che non ho approvato, la scelta di trasporre in versi il presente e lasciare narrato solo il ricordo degli eventi, e anche le illustrazioni che ho trovato un po’ troppo semplici, ma nell’insieme è un libro che andrebbe fatto leggere, perché no, a scuola ai giovani lettori. La pace non si insegna solo attraverso gli arcobaleni, a volte c’è bisogno di mostrare molto di più attraverso fatti dolorosi che però raccontano anche la speranza di un mondo che può migliorarsi.

Fiamme nella palude

Recensione Fiamme nella palude di Eoin Colfer

Vern, un drago che si nasconde da secoli. Miccetta, un ragazzo che è finito nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Regence Hooke un poliziotto corrotto e dannatamente pericoloso. Tre elementi che potrebbero non avere nulla in comune e che invece si rivelano un trittico scoppiettante, in grado di coinvolgere il lettore nella storia più frizzante che una palude potrebbe mai ospitare.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.

Ok, sono pronta alla pubblica gogna: non ho mai letto Artemis Fowl; me ne pento e me ne dolgo, e in mia discolpa non mi ha mai ispirato. Quando ho deciso di leggere questo libro, l’ho fatto perché l’incipit era molto intrigante e ignoravo chi fosse l’autore. Già, perché la premessa di un drago che beve vodka e passa il suo tempo recluso a guardare Netflix (vedo delle somiglianze con la mia vita ideale) mi faceva urlare “devo leggerlo” e infatti ho fatto molto bene!

Non è un autore di prima penna, non è nemmeno un autore che con la fama ha bisogno di prendersi spazi eccessivi o ridondanti (ogni riferimento a Crescent City NON è puramente casuale) e soprattutto non punta tutto sull’idea. I primi capitoli sono eccezionali proprio perché dimostra di avere una voce flessibile, sapendola adattare al personaggio al centro della situazione descritta. I salti focali da un personaggio e l’altro sono gradevoli, non interrompono la trama, anzi fanno amare/odiare i protagonisti, tanto da non potersi staccare dalle pagine.

Ironico a volte irriverente non si può far altro che amare quello che potrebbe essere l’ultimo drago. Vern ha un carisma di uomo vissuto con un pizzico di piccante spigliatezza, che riesce a rendere la storia divertente e interessante. Allo stesso modo l’antagonista Regence Hooke dimostra tutta la sua mancanza di sentimenti raccontando un passato difficile, che però non giustifica il suo essere perfido e sadico. Anche Miccetta ha vissuto problemi simili eppure dimostra di aver fatto una scelta più giusta.

La trama in sé è molto lineare e un pizzico all’americana, eppure il carisma del trittico di personaggi rende scorrevole e mai banale la storia. Le pagine si lasciano leggere in fretta e ci si ritrova alla parola fine con la voglia di leggere di altri draghi e cocktail. Un urban fantasy che ha il sapore bruciante di una vodka secca, una storia che fa ridere senza essere una continua barzelletta. I riferimenti alla cultura pop, e non solo, non disturbano la narrazione, anzi è una lettura contemporanea che mescola il sapore antico e con le opinioni sulle serie tv, film e libri, che le dona una spontanea dimensione umana.

Consigliatissimo a chi cerca una storia per accompagnare questa estate 2020, divertente al punto giusto, per potersi lasciare la quarantena alle spalle e puntare dritti per una vacanza alla ricerca di un drago, armati di casse di Absolut e Martini.

Factory

Recensione Factory di Tim Bruno

Scorza è un vecchio topo, ma grazie alla sua furbizia è riuscito a entrare nella Factory per scroccare formaggio dal foraggio per gli animali. C’è una cosa molto strana però, ci sono tanti animali che non conoscono il mondo ad di fuori il loro piccolo box, un mondo dove esiste un cielo, dove non sono i nastri trasportatori a fornire il cibo ma la terra.

Attenzione questo libro è stato offerto da Rizzoli.

Raccontare l’allevamento intensivo ai bambini non è una cosa semplice. Questo libro non solo la racconta in maniera semplice, ma spiega anche le dinamiche del gruppo quando si cerca di far togliere il paraocchi alle persone. Insomma sembrerebbe un libro per un target giovane e senza troppa morale, ma in realtà c’è molto altro.

Non sono una grande sostenitrice del vegan, ma di certo supporto il cruelty free: conoscere la storia di tre animali destinati a diventare scatolette mi ha ricordato i toni di Okja dove, con spiazzante verità, Scorza deve accettare che gli animali che sta imparando a conoscere, e a cui sta dando un nome, sono destinati al macello.

Inizialmente avevo pensato che questo libro richiamasse “La Signora Frisby e il segreto del Nimh”, ma qui non c’è scontro di specie, anzi, l’uomo sembra non esistere: sono le macchine a alimentare e scandire la vita della Factory. Ma per quanti automatismi lo possano nascondere è chiaro per chi sono quelle montagne di scatolette che ogni giorno vengono prodotte. Leggendo non si da la colpa all’uomo, ma semmai a un sistema che non prevede una vita per quegli animali, destinati a essere coltivati come gli uomini in Matrix. Una scelta interessante che non si sofferma a puntare il dito ma semmai a mostrare la vastità di una luna che troppo spesso rimane ignorata.

Credo sia una bella avventura con una morale tutt’altro che banale, non è la libertà l’obbiettivo finale, piuttosto trovare la speranza di un mondo nuovo.

Mary la ragazza che creò Frankenstein

Recensione Mary la ragazza che creò Frankenstein di Julia Sardà e Linda Bailey

Mary è una ragazza che fantastica. Non è come le altre, è la figlia di una grande femminista, sa leggere, scrivere e racchiude in sé il potenziale per poter lasciare il segno nella letteratura.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Rizzoli.

Proporre la storia di Mary Shelley per i giovanissimi non è una missione molto facile eppure Rizzoli trova le immagini di J. Sardà e le parole semplici di Linda Bailey che riescono a raccontare la nascita di uno dei mostri più famosi nel mondo dell’orrore.

Partiamo dalle illustrazioni di questo volume. Magnifiche nella loro semplicità, la profondità viene schiacciata e resa dimensionale, a volte solo accennata, e sono i colori a raccontare. I contrasti delle pagine grigie e verdi, dove spicca sempre il rosso dei capelli di Mary, si contrappongono a quelle calde dove con gli altri protagonisti complici della nascita del mostro di Frankenstein Mary sembra perdersi. Questo stile molto particolare mi ha ricordato moltissimo quello di Alberto Pagliaro, anche se invece dell’eccentricità tipica di questo artista, abbiamo invece vignette piene di geometrie applicate anche a elementi della natura, il cui aspetto finale sembra quasi davvero un lavoro fatto da un bambino.

Dal punto di vista della storia, l’autrice si rifà a una prefazione scritta proprio da Mary Shelley tredici anni dopo la prima pubblicazione de “Il moderno Prometeo” (da molti conosciuto con il nome “Frankenstien”) che, adattata al pubblico giovane, racconta di come una ragazza possa un giorno creare una delle storia più iconiche dell’orrore.

Conosco bene i fatti che portarono in Svizzera Mary e il marito, oltre che ai retroscena di quella vacanza dove nacquero non solo il romanzo che fece la fama di questa autrice, ma anche “Il Vampiro” di Polidori da cui Bram Stoker trarrà ispirazione per il suo “Dracula”. Devo dire che l’adattamento per un giovanissimo lettore è ben fatto e non lascia nulla al caso; certo sono omessi i lutti subiti da Mary, i litigi, ma del resto la sua storia diventa una favola per bambini dove ognuna, coltivando la propria fantasia, può arrivare a scrivere una storia unica.

Sono molto legata a questa scrittrice, mi piacerebbe poter raccontare questa vita fatta di testardaggine e unicità ai miei figli; questo credo sia il volume migliore per mostrare che a volte, avere la testa nelle nuvole, potrebbe portarli ben oltre ciò che riescono a immaginare.

Middlegame

Recensione di Middlegame di Seanan McGuire

Due gemelli. Non generati ma creati, divisi alla nascita perché potessero progredire e aprire le porte della città impossibile. Roger e Dodger, sono due bambini adottati. Il primo vive a Cambridge e ha una propensione per la parola in ogni sua forma, la seconda in California a Palo Alto e è un piccolo genio della matematica. Sono stati separati eppure grazie alla mente si riuniscono. Qualcuno però li vuole separati.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Ho visto accusare milioni di volte Mondadori per aver portato in Italia solo quello che vende, eppure trovo che la pubblicazione di questo volume sia una scelta molto coraggiosa. No, non è il solito young adult, e NO, non è una storia così semplice e lineare da poter accontentare tutti i lettori.

Partiamo dal presupposto che importare questa autrice nel nostro paese, e farlo con un titolo così sperimentale, è un autentico azzardo. Già dalle prime pagine si capisce che il lettore non avrà vita facile. Non ci saranno spiegoni a raccontare l’alchimia e ci si troverà con il dubbio che sia una rivisitazione de “Il moderno prometeo” (leggendo di Reed) dove sette segrete progettano un modo per usare le antiche dottrine per raggiungere la città impossibile.

Vi confesso che affrontati i primi, molto confusi, capitoli, si percepisce subito che l’autrice sa scrivere divinamente: i primi incontri tra Dodger e Roger, per esempio, sono davvero godibili. Ci sono bellissimi passaggi che fanno emergere le doti narrative che potreste non trovare nei primissimi capitoli che, con una struttura meno lineare, non lasciano cogliere al lettore la magia che davvero si nasconde in questa storia.

È il caso di dirlo, non è una lettura così facile. Il fatto che esistano complessi meccanismi nella trama, che non vengono sempre palesati al lettore, rende la lettura un poco disordinata. Ci sono riferimenti all’alchimia, ma allo stesso tempo si inseriscono elementi legati ai tarocchi (il Re di coppe e alla Regina di bastoni) come anche una continua citazione al romanzo “I figli dell’Invasione” di John Wyndham. L’insieme non stona, ma ammetto che ho provato anche ad approfondire questi elementi, senza però vedere così bene il quadro generale del mondo descritto dall’autrice.

La struttura narrativa risente della sperimentazione dove tra salti temporali, dilatazioni di scene che potevano essere descritte in due o tre righe, alcuni elementi sottointesi, si arriva a metà libro domandandosi quale sia l’obbiettivo della storia, rischiando di bloccarsi.

C’è una cosa che mi ha dato davvero troppo fastidio nella lettura di questo volume: le parentesi. Già perché l’autore si permette delle pause dai fatti con lunghe parentesi che approfondiscono i pensieri dei personaggi o alcune situazioni, e di solito è sempre il momento meno adatto per divagare. Sono stati punti della lettura che proprio l’hanno resa frustrante, interrompendo il ritmo della scena facendomi quasi pensare di saltarli (anche se a volte servono a dare maggiore spessore alla trama o al personaggio). Andavano a mio parere collocati meglio nel testo.

Gli antagonisti, Reed e Leigh, sono interessanti ma troppo rinchiusi nel loro antro oscuro per dare il meglio di loro nella storia. Un peccato, anche se per fortuna Erin prende il loro posto attivamente nel libro; eppure si sente troppo la loro assenza.

I protagonisti si dividono sui due fronti, Roger che nonostante tutto riesce a integrarsi nel mondo e Dodger che vive estraniata da tutto e non è sicura di voler vivere davvero. Il primo legato alle parole, la seconda che giura fedeltà ai numeri. Confesso di essere #TeamDodger e anzi mi spiace che alcune parti sulla sua adolescenza non siano raccontate. Avrei infatti approfondito di più alcuni momenti della vita dei gemelli, evitando che uno dovesse riassumere gli eventi all’altro.

Dovendo tirare le somme questo non è il solito libro. Vi piacerà? Non sono sicura ma se state cercando qualcosa di diverso dal solito ve lo consiglio caldamente, dovrete forse avere molta pazienza con lui, ma vi ripagherà. È un volume unico? Sni… diciamo che un finale lo troviamo, ma l’autrice potrebbe sempre decidere di chiudere alcune questioni lasciate in sospeso.

Le quattro Piume

Recensione: Le quattro Piume di A. E. W. Mason

Inghilterra, 1882. Harry Feversham si ritira dall’esercito abbandonando i suoi compagni al fronte in partenza per il fronte. La conseguenza del suo gesto  sono tre piume bianche, contenute in una piccola scatola ed inviate da tre suoi amici fidati, che attestano la sua codardia. A queste se ne aggiunge una quarta, quella della sua fidanzata Ethne che rompe il fidanzamento, sconvolta che l’amato si sia dimostrato pavido. Harry però non è un codardo e partirà per il Sudan per restituire le piume proprio quando i suoi tre amici saranno in difficoltà…

Avendo visto il film, prima di aver letto il libro, avevo una paura matta che leggerlo lo avrebbe rievocato troppo. Sono passati anni da quando lo vidi e fortuna vuole che a parte la premessa delle piume, non ricordassi così bene tutti gli eventi. La lettura quindi è stata godibile dal primissimo capitolo. L’unica cosa però che è completamente diversa, e me lo ricordo benissimo, è che i fatti sono molto più incentrati sull’Inghilterra che sull’Egitto e il Sudan. Infatti non seguiamo subito Harry nelle sue imprese, anzi spesso è in Inghilterra che vediamo i passi in avanti e non la si vive tutta direttamente sul campo (anche se poi ci sono molti punti in cui la narrazione si sposta appunto su Harry). È un po’ come se le piume fossero le vere protagoniste, più che Harry, vediamo le conseguenze di un gesto che avrebbe potuto distruggere la vita di un uomo e invece ha creato una storia di riscatto; non assumere il proprio dovere in battaglia avrebbe distrutto l’onore per la famiglia Feversham che conta generazioni al servizio della corona.

L’esperienza dell’autore riesce a portare sulle pagine il mondo dell’esercito senza che questo soffochi la storia, sì, troviamo avventura e la magnificenza esotica delle terre lontane, ma anche romanticismo. Seguendo la vita di Ethne mentre Harry è lontano ci troviamo a tifare perché lui torni a casa salvo, anche se ormai lei dice di non amarlo e ha custodito solo una foto. L’autore poi sfrutta il personaggio di Jack Durrance che sembrerebbe a un primo occhio come un semplice personaggio secondario, e invece rimasto cieco, si trasforma in protagonista e, grazie al suo intuito, scopre il segreto di Harry e si arma per aiutarlo indirettamente.

Si tratta di un libro pubblicato a inizio ‘900 e un poco si sente. I primi capitoli sono ricchi di nomi e situazioni e se siete abituati a letture leggere potreste rischiare di perdervi. Ci sono ottime descrizioni tipiche dei romanzi ottocenteschi: il lettore comodamente seduto a casa può viaggiare e sentire il profumo della sabbia del deserto. Anche la scelta dell’intreccio che contrappone Inghilterra e Sudan/Egitto rende dinamica la storia spingendo il lettore a continuare a leggere per sapere. Ammetto però che ci ho messo un po’ a entrare in sintonia con la storia, forse perché poco abituata allo stile dell’autore, ma vi confesso che non è una lettura pesante, anzi, una volta affezionati alla storia e ai personaggi difficilmente si abbandona la sua lettura. Questo è il primo libro di Mason che leggo, ma la casa editrice mi ha omaggiato di un secondo volume “Il fiore e le spade” che spero di iniziare presto.

A chi consiglio di leggere questo libro? Se amate i romanzi storici questo non dovete perdervelo, è un autentico gioiello che va scoperto e non può mancare nelle vostre librerie. Non so se lo consiglierei a giovani lettori, anche se far riscoprire il senso dell’onore ai giovani sarebbe cosa buona e giusta (mi sento vecchia nello scrivere queste parole). Infine lo consiglio moltissimo a chi cerca un buon libro dal sapore classico, la traduzione è ottima e sono certa che questa avventura vi spingerà a cercare gli altri libri di questo autore.

Io sono leggenda

Recensione: Io sono leggenda di Richard Matheson

Robert Neville è rimasto da solo. Potrebbe anche essere davvero l’ultimo che ancora sopravvive a tutti i vampiri che la notte percorrono la città. Passa le sue giornate a costruire paletti, controllare che la casa sia insicurezza, a prova di attacco, e bere whisky. Che futuro potrà mai avere un sopravvissuto, che da solo cerca una spiegazione e una soluzione per tutti i vampiri che hanno ormai invaso il mondo?

Attenzione questo romanzo è stato fornito da Mondadori.

Ho letto di vampiri classici, di vampiri che luccicano e fanno perdere la testa alle adolescenti (e non), di vampiri creati in laboratorio, romanzi che alla fine sono piccole fan fiction di Dracula di Coppola e mi fermo qui perché potrei continuare. Insomma il vampiro mi ha sempre affascinato, ma “Io sono leggenda” di Richard Matheson mi mancava proprio, quindi ho colto l’occasione per poterlo leggere grazie alla nuova edizione tradotta di nuovo e riporta in libreria questo classico edito nel 1954.

Ciò che mi aveva tenuta lontana da questo libro era stato il film, avevo provato a vederne i primi minuti e ero rimasta terrorizzata dalla morte del cane. Ricordo di aver fermato il film e da allora vi confesso non ho più tentato di vedere come andasse a finire. Sono certa che molti abbiano apprezzato il lavoro di Will Smith ma io non sono fatta per questo genere di film. L’orrore mi piace soltanto su carta, e infatti il libro è stata una spiacevole lettura. Le scene di suspense mi hanno spinto più volte a prendere una pausa perché avevo davvero troppa paura di leggere altro, questo è il vantaggio dei libri rispetto ai film, i codardi come me possono prendersi anche uno o due giorni prima di proseguire la lettura.

L’approccio del personaggio al problema “vampiro” è uno dei più originali che abbia mai letto: niente ricerca di immortalità o caccia sfrenata per salvare il mondo, Robert si dedica a capire perché i vampiri siano così spaventati dalle croci e odino l’aglio, da dove siano arrivati. Sì, i vampiri di “Io sono leggenda” presentano le caratteristiche classiche, dormono di giorno, muoiono se esposti al sole o colpiti al cuore con paletti di legno, gli elementi innovativi (almeno per me) sono nella distinzione tra vampiro “vivo” e “morto”, il primo è senziente il secondo è più mosso dalla fame, a cui si aggiunge il fatto che siano inseriti in un mondo che sembra post apocalittico, dove ormai si da per scontata la presenza degli zombie. L’approccio scientifico del protagonista lo porta a sperimentare fino a cercare la vera origine di un morbo che sembra aver distrutto la civiltà, arrivando a scoprire un germe che agisce sul corpo umano portandolo alla condizione di succhiasangue quasi immortale.

Devo confessarvi che leggerlo ora, dopo la quarantena, mi ha a volte spaventato e altre fatto riflettere su come io avrei potuto affrontare la fine di una civiltà se fosse prossima: un consiglio, tenete sempre una copia a portata di mano, ci potrete trovare l’ABC per sopravvivere a un mondo post apocalittico. Non sto scherzando, l’autore da tutti gli elementi necessari per crearsi una casa fortezza e spiega anche come recuperare cibo e acqua.

Il romanzo contiene momenti di ansia, di terrore e solitudine fino al colpo di scena finale quando l’autore rivela il suo spietato talento: Richard Matheson trasforma la vittima in carnefice. Leggendo la postfazione di questo volume, si scopre quanto questo genere di finali molto inaspettati siano una chiave comune del lavoro di questo scrittore, che vanta racconti e libri che sono poco conosciuti e che credo sia proprio il momento di riprendere in mano per scoprire questo autore americano che ha portato l’orrore nella cultura moderna, e cito, una autentica macchina creativa del Novecento americano.

Ci sono tante edizioni di questo libro, del resto ha la sua età ma sta invecchiando benissimo, eppure mi sento di consigliarlo in questa nuova edizione. Tradotta bene e soprattutto con una postfazione che da al lettore degli elementi per conoscere meglio questo autore che ha ispirato lo stesso Stephen King.

Recensione: Crescent City – La casa di terra e sangue di Sarah J. Maas

Recensione: Crescent City – La casa di terra e sangue di Sarah J. Maas

Bryce ama divertirsi con la sua amica lupa Danika. È una mezza Fae, considerata da troppi uno scarto, ma la sua vita in fondo le piace. Quando però, rientrando urbriaca e anche strafatta trova il cadavere della sua amica e del gruppo di lupi, la sua vita cambia per sempre.

Attenzione questo romanzo è stato fornito da Mondadori.

La serie “Throne of Glass” non mi aveva fatta impazzire e il cambio formato da parte della Mondadori mi aveva portato a interrompere la sua lettura, quindi ho voluto dare una seconda possibilità con questa nuova saga a Sarah J. Maas. Ora è chiaro che l’autrice abbia fatto successo, ma davvero non capisco perché nessuno, ma proprio nessuno, abbia pensato di far notare all’autrice che alcuni passaggi erano davvero eccessivi: in scene dove stiamo cercando di capire ancora come funzioni il mondo da lei creato, ecco che entra a gamba tesa a spiegare un dettaglio del mondo creato, restando su questo per molto. In più punti queste descrizioni lunghe di fatti che non sta vivendo la protagonista risultano di troppo. È chiaro che il lavoro dell’autrice punti a dare al lettore le informazioni chiare per comprendere il complesso mondo e la città di Crescent City, ma come sempre è meglio che il lettore viva certe informazioni più di sentirsele spiegare.

Il word building è davvero complesso e anche se a volte sovrasta la trama: come ho già detto ci sono tantissime descrizioni, bellissime ma a mio parere andavano smussate per lasciare spazio alla trama. La storia è davvero complessa: quando ho provato a riassumere il libro mettendomi davanti al pc mi sono resa conto che non è così semplice, ogni evento è concatenato in maniera che non stia in piedi senza poter conoscere i retroscena dell’ambientazione, il tutto infatti è fuso in maniera indissolubile, anche se come ho già detto, forse la costruzione del mondo soffoca troppo (soprattutto) i primi capitoli.

Bryce come protagonista non mi è dispiaciuta e anche Danika (per quanto non sia presente fisicamente) non sono le macchiette: spesso con il loro modo un po’ ribelle cercano di convivere con la difficile responsabilità che hanno sulle spalle, mi è piaciuto immedesimarmi in entrambe.

Le componente maschile aggiunge una nota romantica al romanzo: Hunt che cerca di risolvere il caso nei tempi stabiliti dal governatore così che possa riscattare la propria libertà (o quasi) è affiancato alla protagonista a cui si legherà moltissimo e si contrappone a Rhun, principe succube di un padre che già sta intavolando per lui un matrimonio e vuole soltando aiutare la “cugina” Bryce a continuare a vivere dopo la perdita della cara amica.

Il finale è un po’ troppo una americanata, non faccio spoiler, ma vi confesso che ci sono: il colpo di scena che grazie a una incomprensione fa sentire tradita la protagonista, il conto alla rovescia, il cattivo che spiega tutti i suoi misfatti e i piani, le esplosioni… non fatemi continuare fidatevi solo che a un certo punto mi aspettavo pure qualche resurrezione.

Quindi? Non è in libro scorrevole, ma i difetti più grandi li ho trovati più nella traduzione, mi auguro che sul cartaceo questi refusi e errori siano stati tolti. Nell’insieme è una storia godibile, forse mi aspettavo qualcosa in più, ma non mi sento di crocifiggere un libro che, per quanto non eccelso, mi ha fatto buona compagnia. Non è una lettura così brutta e credo che i giovani lettori l’apprezzeranno (anche se dai, le scene hot ce le poteva risparmiare la Maas), se amate il genere Urban Fantasy con una buona dose di Paranormal Romance allora dovete leggerlo, per i puristi del genere invece lasciate stare.