Il meglio del 2021, con imbarazzante ritardo
Lo so ci ho masso davvero troppo tempo a scrivere questo articolo. Non nego che avrei avuto un po’ di…
Lo so ci ho masso davvero troppo tempo a scrivere questo articolo. Non nego che avrei avuto un po’ di…
Parliamoci chiaro, non ha intenzione di farla diventare un’abitudine come già vi avevo detto nella recensione di “Utopia”. Sta di fatto che, o scrivo questa recensione, o riguardo per la terza volta “Strappare lungo i bordi”…
Partiamo dal fatto che non sono mai stata una grande fan di Zerocalcare, anzi la prima volta che ho sentito il suo nome ne stava parlando male un mio professore (di scrittura. non di scuola, non sono così giovane); per molti anni ho schivato questo peso massimo del fumetto italiano, un po’ per rispetto a un mentore letterato, e un po’ perché alla fine le sue storie mi sembravano fuori dai miei gusti. Tutto questo fino al 2020. La pandemia ha fatto emergere i suoi video che raccontavano alla perfezione la vita della quarantena, le ansie di chi viveva in quel limbo che aveva messo in pausa i nostri “cocci”. Per me diventarono anche la soundtrack dell’intero anno (tanto che “Ipocondria” e “The Funeral” sono nella mia playlist da allora).
Quindi con il 2021 do una possibilità a Zero e ai primi sconti Bao, mi fiondo su un titolo che mi ispira. Però quella scintilla non scocca, non c’è la stessa poesia che ho trovato nei suoi video e. alla fine, mi rendo conto che forse non c’è stato il colpo di fulmine, ma “Strappare lungo i bordi” lo voglio vedere e subito. Infatti in questi sei episodi, con durata tra i quindici e i venti minuti, ritrovo tutta la poesia che Zero riesce a dare a una narrazione di noi figli degli anni ’80 e primi ’90 che, a trent’anni, si domandano che fine faranno. Sospesi in un mondo che non sembra voler cambiare e ci lascia in un limbo di insoddisfazioni. Tutti ad attendere il nostro momento per entrare il campo e, se non si riesce ad essere l’asso della squadra, si tenta almeno di portare a casa la partita insieme a tutti gli altri. Invece come molti, forse troppi, sono qui a scrivere su un blog, a cercare ritagliarmi una figura che sia il più perfetta possibile. Ma alla fine non va. Zero inquadra bene il nostro paese, bisogna accettare che sia stato il primo ad avere un pubblico così ampio perché ci riconosciamo in questa eterna ansia di vivere, di essere la persona giusta che il mondo vuole per noi. Così la serie tv ci permette di rivederci in Zero, Secco, Sara o anche Alice, ma per quanto la leggerezza delle battute, delle estremizzazioni satiriche delle visioni del mondo che ci circonda, non è solo la morale finale che conta. No, Zerocalcare è riuscito a cristallizzare il disagio di una generazione che non è solo quella romana, un lato B di un disco che solitamente non siamo capaci di ascoltare, perché fa male, troppo per accettare che siamo tutti sulla stessa barca che non affonda, ma ci tiene in questo continuo stato di attesa, da cui fissiamo la riva quasi fosse un porto sicuro. E forse è solo un miraggio.
Questa serie non ha nemmeno tre giorni di vita e già la sto consigliando pure ai sassi, ne sto scrivendo qui sul blog. Non voglio dire che sia il capolavoro del secolo, credo però che serva, a noi tutti, ad afferrare un cavolo di remo e a iniziare a capire che riva o non riva, restare fermi non serve a nulla. Il vittimismo ormai, per noi figli di un boom economico, ci è esploso in faccia.
Nina è rimasta irrimediabilmente sfregiata in volto a causa di un incidente in motorino. La scuola è finita e, per evitare che qualcuno scopra quello che è successo, scappa a vivere da suo padre Gabriel.
Partiamo con il dire che questo volume non è brutto, però lo trovo molto discutibile. Sia chiaro, l’autrice sa scrivere, ma la storia per me presenta parecchi punti lasciati un po’ troppo al caso. Il primo è proprio l’incidente in motorino, dove la protagonista dovrebbe perdere il volto a causa dell’asfalto su cui è scivolata. Ora, anche nella migliore delle ipotesi trovo che sia una ferita poco credibile. Mi domando se non portasse il casco (per esempio) ma in ogni caso, non essendo dato spazio a come sia davvero successo il fatto, che tutto il suo volto sia segnato e non ci siano danni alle labbra e agli occhi mi sembra uno scenario assolutamente improbabile. Un peccato però perché mi ha lasciato piuttosto spiazzata, soprattutto dal fatto che in un primo momento pensavo che fosse solo una parte del volto di Nina a essere sfigurato, ma è chiaro invece che lo sia tutto. Poi, mani e braccia, non abbiano segni… forse si poteva costruire meglio questo primo elemento (che è la base di tutto il libro).
Voglio però abbonare questa ingenuità narrativa, e mi soffermo a complimentarmi dell’idea dietro la parte più giovane del testo: mi riferisco all’integrazione dei social e della body positive dietro al percorso di accettazione di Nina. Lo so, ultimamente alcune grandi case editrici stanno mungendo su questa realtà facendola anche inserire come parte integrante nei romanzi, a volte è una paraculata assurda per trasmettere “giovanitudine” in un testo, ma in questo devo ammettere che si sposa bene con il percorso di Nina.
Ho apprezzato un po’ meno la scelta di buttarci dentro in maniera semplicistica il mondo degli influencer. Si poteva anche in questo caso strutturare meglio la storia di Jasmine Elle, l’influencer che tanto ammira Nina, la cui comparsa non è abbastanza sviluppata.
Infine anche la conclusione non è delle migliori. Il rapporto con gli amici (vecchi e nuovi) viene risolto in maniera didascalica, quasi sembrasse un “deve andare a finire così, punto”, quando invece si poteva giocare meglio con i personaggi. Lo stesso Leonardo, che ha un ruolo inizialmente di antagonista, poteva mostrarsi meglio come persona che ha sbagliato, ma che nel suo piccolo ha anche grandi problemi, Invece no, si risolve tutto con grande fretta.
Non mi piace stroncare i libri, ed è un peccato che questo volume avesse tutte le carte in regola: una buona idea di base, una fantastica penna (perché la si divora di pagina in pagina), il tutto abbandonato a un po’ di disattenzione semplicistica. Peccato davvero. Doveva essere una bella storia d’estate e crescita, ma non riesco proprio ad accettare che si sia rivelata come l’ennesimo libro con le buone premesse, ma che non è riuscito ad emergere.
Il tempo è passato, l’imperatore non è più un bambino. Il figlio della stella sta crescendo e presto sarà pronto…
Nell’impero di Mnar l’invasione degli uomini bestia, chiamati sciacalli, fa crollare il quadrante nordest condannando i suoi abitanti all’oblio. Per fortuna il principe Raven compie un atto di Devozione offrendosi come loro schiavo e cedendo le sorelle ai nuovi arrivati. Sembra la fine di tutto, ma in realtà è l’inizio di sconvolgenti cambiamenti e tremendi tradimenti.
Attenzione il libro è stato offerto dall’autrice, Rebecca Moro.
Si capisce subito dalle prime pagine che questo volume rispecchia lo stile e la forma di un epic fantasy, quello che invece sorprende è che non è il solito romanzo fantasy. Parto con il dire questo perché, se cercate un fantasy acqua e sapone, questo non è il libro che fa per voi. Qui si sente il sapore più puro di questo genere e dei suoi grandi maestri come Tolkien, Martin, ma contemporaneamente non è quello che vi aspettereste leggendo questi due maestri. Esatto, c’è qualcosa di diverso, di insolito, di anticonformista ma allo stesso tempo coerente con l’ambientazione fantasy e il mondo creato dall’autrice. Forse è più giusto definirlo un “Weird Epic Fantasy” perché non può semplicemente stare con i grandi maestri del passato, ha bisogno di una collocazione diversa.
Partiamo dalla scelta di creare dei personaggi bruti e violenti che poi assumono tutta una loro importanza nella storia, opzione abbastanza interessante perché si è più propensi ad accettare, man mano che la storia evolve, un nemico umano piuttosto che un usurpatore mostruoso che stupra. E anche su quest’ultimo punto (che ho visto criticato) mi sento di spezzare una lancia sulle scelte dei personaggi. E’ un libro che vive attraverso i tempi che racconta, non con gli occhi di noi uomini o donne dell’epoca moderna. Trovo che riadattare i comportamenti, e soprattutto le psicologie dei personaggi al loro contesto, sia più coerente che condannare scelte che appaiono prive di morale.
Gli intrighi dietro alla temibile invasione si rivelano una colonna solida che porta avanti la storia e appassiona il lettore. I personaggi, oltre a Raven, sono ben caratterizzati. Per Sarissa, e la stessa Ioni (sorelle di Raven), ci sono descrizioni che potrebbero sembrare fine a se stesse ma che arrivano a delineare i protagonisti e chi li circonda. Una scelta che potrebbe sembrare appesantire il romanzo e che invece, a mio parere, rende la storia più ricca e vivida. I punti di vista, nonostante si alternino, non annoiano e non staccano troppo l’uno dall’altro (anche se io avrei voluto leggere di più di Sarissa e Ioni, e infatti confido che il secondo volume sia più rivolto a loro), anzi spingono la storia avanti di capitolo in capitolo.
Un libro ricco che, benché conti meno di quattrocento pagine, si divora e culla il lettore che ha bisogno di un Fantasy ben scritto. Dedicato agli amanti dei grandi maestri o che cercano avventura, sangue, intrighi. Sconsigliato a chi cerca una lettura veloce e facile o che sia una fotocopia/riassunto del genere.
Inutile dire che non vedo l’ora di iniziare il secondo volume.
Lawmar e Emme, fondatori dell’omonima azienda, hanno per le mani un nuovo progetto da sviluppare che, come i molti già realizzati, mira a migliorare in qualche modo la vita delle persone.
Attenzione questo romanzo è stato fornito da Matteo Caldarelli.
Quello che mi sono trovata tra le mani non è stata una lettura come molte altre. La narrativa ha spesso l’obbiettivo di intrattenere, ma in questo volume non c’è principalmente questo. La ripetitività di situazioni e gesti fa capire, già dai primi volumi, che non è la storia il punto focale, bensì la completa scoperta dei due personaggi principali. Questo non significa che non c’è trama, ma questa passa a volte in secondo piano rispetto alle descrizioni che si concentrano su molti aspetti, dai piccoli gesti compiuti o ad esempio dal dettaglio di ciò che mangiano.
È particolare che ogni scena si apra con un orario e il nome del personaggio che seguiremo fino al cambio. Ci troviamo come davanti a un film, dove la telecamera puntata su un soggetto ci mostra tutto. Può sembrare una scelta che rallenta il testo, ma ci sono come delle piccole briciole che siamo invitati a notare e che nell’insieme compongono la complessità di un mosaico, che si può apprezzare a fine lettura.
Di certo la parte migliore del testo è il caffè al bar che ogni mattina Emme si concede. Si potrebbe scrivere un romanzo solo su questa parte, perché crea un percorso narrativo che ho trovato più coinvolgente di tutto il romanzo.
Non è a mio parere un romanzo per tutti, e mi spiace che il lavoro di editing si sia lasciato sfuggire alcune ingenuità tipiche di uno scrittore emergente. Non sono un problema, ma il testo è molto ricco e mi dispiace averne trovati così tanti. Inoltre l’impaginato ha dei giochi di crenatura, credo atti a risparmiare pagine, che sono a volte esagerati.
Una buon primo capitolo per questo autore che ha origini bresciane come le mie (per certi versi pure molto simili alle mie, visto che abbiamo fatto gli stessi studi e lo abbiamo scoperto quasi per caso) di cui spero di leggere altro in futuro, e che vi invito a tenere d’occhio se amate quella letteratura molto calma, che però lascia tanto un poco alla volta.
Quando ho sentito parlare di questo evento era ancora tutto in fase embrionale, ma già sentivo che sarebbe stato un…