Social-democrazia

Recensione Social-democrazia di Stefano Tevini

Basta un’immagine Gif sbagliata in allegato ad un post per rischiare la vita. Ecco che i likes altro non sono che i voti per determinare se sarai o meno condannato a morte. E quando quel numero conferma la tua condanna, non puoi fare altro che scappare oppure ucciderti.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Stefano Tevini.

Tornano le atmosfere Teviniane, torna la forte critica sociale. Insomma Social-democrazia è un racconto che ha tutto per diventare quasi un romanzo. Non mancano pagine, non ce ne sono in eccesso, eppure di un mondo così avrei letto ancora.

Il dito puntato contro il mondo dei social media, soprattutto allo shaming on line. La stucchevole pratica che, attraverso epiteti sui propri profili on line, sfocia in autentiche gogne mediatiche, fino a scatenare (direttamente o indirettamente) i propri follower a fare azioni di hating (odio) in branco nei confronti dei malcapitati. Ho provato questa esperienza, e devo dire che trovarsi insultati e giudicati da centinaia di persone che nemmeno hanno idea di tu chi sia, è umiliante, frustrante e si arriva al punto di desiderare di sparire. Anche fisicamente. Certo qui la tematica è estremizzata, eppure non si può negare come l’impatto del bullismo digitale possa rovinare la tranquillità del quotidiano: ci si sente condannati a morte allo stesso modo del protagonista di Social-democrazia. Si vuole soltanto scappare e in qualche modo sopravvivere.

Un racconto breve ma che come sempre parla delle tematiche outsider care allo scrittore. Come sempre il lato B del mondo è schiaffato nelle sue pagine e mostrato senza alcun tipo di censura; la violenza e l’odio non vengono centellinati, a continuo monito che là fuori esistono davvero delle persone in ombra, la cui scomparsa resta parcheggiata nel dimenticatoio del mondo.

Una lettura sadica, potente, come solo questo autore riesce a mettere su carta (o in questo caso su e-book); una lettura da gustare tutta, con la sua amarezza, come le immagini crude di una periferia malfamata che scorre fuori dal finestrino del nostro autobus, da cui la guardiamo in totale sicurezza perché sappiamo benissimo che, se dovesse essere la nostra fermata, non saremmo in grado di sopravviverci.

Il rintocco

Recensione Il rintocco di Neal Shusterman

Il mondo sta cambiando e sembra che lo stia facendo nel peggiore dei modi. Goddard è salito alla carica di Suprema Roncola che ora ha l’obbiettivo di imporre le sue regole alle falci di tutto il mondo. L’unica speranza è racchiusa in una cella, sprofondata nel mare, insieme a Endura.

Attenzione questo volume è stato offerto da Mondadori.

Mi spiace dover dire che riconfermo le perplessità dei primi due volumi. Anche qui una corsa contro il tempo a seguire il tipico format di queste trilogie distopiche young adult: tutti dritti a salvare il mondo in qualche modo, e sconfiggere il cattivone di turno che sembra impossibile abbattere. La cosa che rende colore è Jerico, la nota generfluid e politicaly correct di questa serie che, per quanto sia ben costruito, sembra una disperato tentativo per evitare il flop a una trilogia che davvero non riesco a salvare, considerando anche l’introduzione a freddo delle ‘questioni di genere’ mai state menzionate prima di questo libro .

Il wordbuilding è davvero interessante, non posso negarlo, ma la trama e l’evoluzione dei personaggi sembrano scritti a tavolino sin dal primo libro. Ed è un peccato perché si poteva tirare fuori qualcosa di nuovo e interessante.

Tornando invece a parlare del terzo volume, anche qui di spunti molto interessanti ce ne sono a palate: dal Rintocco stesso che è visto quasi come un profeta, allo stesso Thunderhead che ha un chiaro piano da mettere in atto. Ma il tutto viene raccontato con salti e interruzioni che rompono il ritmo. Apprezzo la scelta di rendere più ampia la narrazione, ma certi fatti andavano messi nella storia già prima. Il numero di pagine sembra eccessivo per poi avere il finale.

Mi spiace stroncarlo, e ribadire che anche i precedenti volumi non avevano convinto. Ora che la serie è conclusa mi sento di confermare che a mio parere è bocciata.

Wilder girls

Recensione Wilder girls di Rory Power

Una scuola di sole ragazze su un’isola. Tutte affette da un morbo misteriose che a tratti le deforma, trasfigurandone una parte fino a renderle mostruose e sempre più vicine alla morte.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Ci sono tante cose che proprio non funzionano, a mio parere, in questo libro. Troppe ingenuità strutturali, troppi momenti spesi in frasi di elucubrazioni che non servono minimamente alla trama. Una buona parte del testo non da nulla al lettore. Ed è un peccato perché ci sono molte cose che, per esempio Hetty, avrebbe potuto trasmettere al lettore sul TOX (il morbo che le affligge) che invece viene gestito come un contorno. L’esempio più ovvio è quello della scuola. Sono tutte trasfigurate dalla malattia in qualche modo, eppure lo ricorda giusto ogni tanto. Ribadisce i “difetti” delle altre protagoniste, ma non si sofferma mai a raccontarli davvero: non vediamo grandi conseguenze se non il fatto che Reese non può sparare. E poi tutte vogliono sopravvivere? Sul serio? Nessuna che da trasformata desidera di morire? Nessuna che alla fame, alla prigionia, risponda dando fuori di matto? Tutte lì, rinchiuse in una scuola, nei dormitori, con due adulti e tutte che rispettano le regole? Sul serio? Hanno le armi e a nessuna in due anni è mai venuto lo schizzo di prendere il potere e mandare a quel paese tutto? Non dico che dovesse andare così la storia, ma si menano per un tozzo di pane ammuffito, e poi vivono in pace e rispettano le regole? È impossibile che siano tutte belle tranquille ad aspettare la cura o la morte.

Anche la dinamica LGBT sembra messa lì così giusto per dare colore, e il rapporto Reese-Hetty-Byatt mi ha fatto storcere il naso. Un po’ perché sembra essere messo lì a casaccio, toccato, sfiorato in alcune scene e poi è “ammore”. Devo dire che essendo il secondo F/F che leggo, ancora non riesco proprio nemmeno a provarci ad empatizzare con i personaggi, quindi qui lo dichiaro, preferisco gli M/M.

Un libro con una cover da sogno che però non riesce proprio a dare di più al suo interno di un po’ di curiosità. Sconsigliato, bocciato, passate oltre. Ok è la mia opinione ma riassume tutta la delusione dell’averlo letto.

Letture della Chimera

2020 – L’anno di letture della Chimera (seconda parte)

Riprendiamo da dove mi ero interrotta. È ora di parlare del meglio della Distopia. È un genere che dopo Hunger Games è scaduto nello young adult, dimenticando le vette raggiunte dai capolavori che gli avevano dato un peso importante. Attenzione amo gli YA, ma troppo spesso diventa quasi una caricatura di se stesso. Sono felice di averlo riscoperto attraverso romanzi che hanno lasciato altrove questa bruttura, e il meglio è segnato da “La tuffatrice”, “Catena Alimentare” e “L’ascesa di Senlin”. Questo trittico ha caratteristiche diverse: i primi due futuristici, il terzo più fantasy, ma sono pronti a togliere il velo di felicità dietro cui, una società perfetta, nasconde il marciume della sua essenza. “L’ascesa di Senlin” non è propriamente distopico, ma la torre e la favola che viene raccontata su di essa sono un ottimo spaccato del mondo moderno, dove siamo capaci di vedere e vivere l’irrealtà senza capire che, in fondo, dietro a così tanta perfezione non c’è altro che una facciata.

Fantasy e Urban Fantasy… come sempre il primo amore non si scorda mai, ma questa volta ho fatto davvero fatica a creare un podio. Ad esclusione di uno che mi ha davvero sorpreso, gli altri due sono stati quasi unicamente intrattenimento con molti (forse troppi) difetti. Partiamo dalla coppia che si è “lasciata leggere” con piacere nonostante l’imperfezione, anzi, tra buchi di trama e cadute di stile si sono rivelati un bel groviera; mi riferisco a “Crescent City” e “La guerra dei papaveri”. Il primo davvero troppo prolisso, ma che mi ha tenuto compagnia con piacere. Il secondo, con grandi errori nella trama, che però si legge con piacere grazie alla scelta dell’ambientazione orientale, un elemento che si rivela importante e non di solo contorno.”Wicked Tapes”, il podio è di nuovo di Margherita Fray. Si rivela il romanzo (anche se breve) più bello del genere: è completo, frizzante, sconvolgente, romantico e ha una struttura alternativa. Consigliato perché è anche una prova d’autore sensazionale: dimostra la versatilità di chi scrive, la flessibilità a non rimanere ancorati all’etichetta di un genere, e il pregio di adattare se stesso alle storie che vuole raccontare.

Ora senza indugi andiamo al meglio del meglio. Di solito nomino tre migliori titoli, più una menzione speciale ma la realtà è che quest’anno ho letto dei libri che meritano di essere citati. Non posso ridurla a numeri così bassi, abbiamo tre menzioni speciali e ben cinque volumi sul podio.

Da citare a margine, perché hanno fatto in qualche modo la differenza di quest’anno, sono “Poirot – Tutti i racconti” che mi ha aperto gli occhi sulla figura di questo investigatore il cui accento francofono e i baffetti mi avevano sempre attirato, ma con cui pensavo non sarebbe potuto scoccare nulla e invece è stato amore. Il secondo che cito è “Cuori Arcani”, una storia davvero particolare che trasudava di profumo d’arancia e mi ha mostrato come l’amore per i luoghi può portare a creare storie poetiche. Non è un libro che ho promosso a pieni voti, anzi, ma voglio rileggerlo perché credo di averlo iniziato in un momento sbagliato. Sono sicura che quando lo rileggerò si mostrerà in tutto il suo splendore. Infine, ma non per questo da sottovalutare, “Paul Verlaine – il fiore del male”, una storia che mi ha mostrato come un editore possa tirare fuori dalla bravura dei suoi autori una collana editoriale che ha un potenziare incredibile.

Chi c’è sul podio però? Beh… facciamo che ve ne parlo in un articolo a parte.

Recensione Sulla soglia di Giovanni Peli e Stefano Tevini

Recensione Sulla soglia di Giovanni Peli e Stefano Tevini

Stefano si occupa di portare gli uomini che hanno raggiunto la Soglia64 alla morte. Anche suo padre ha pochi mesi di vita e sembra non avere più una ragione per vivere. Riusciranno i due a trovare un rapporto, e magari una via di fuga, in un mondo che si piega a un vivere forse troppo etico?

Attenzione, questo libro è stato offerto da Stefano Tevini.

Si sente che questo libro non è totalmente Teviniano, eppure la sfumatura caustica e irriverente tipica di questo autore spica ancora una volta dalle pagine. Il mondo in cui i protagonisti si muovono appare grigio e asettico, in linea con la copertina. Una società in cui, finalmente, è stata trovata una concreta soluzione al sovrappopolamento del pianeta. È una tematica che non tutti forse conoscono, ma il fatto che siamo troppi su questa terra sembra aver portato, la maggior parte dei narratori a cercare la cui trama si ispiri alla fuga nello spazio, o a un massacro nucleare, come soluzione al problema. Qui no, la consapevolezza che solo una parola può salvare l’uomo riecheggia in ogni singola pagina: risparmio. Nessun prodotto non necessario, uno stop in cui l’uomo è costretto a sacrificare un’ora della sua vita. Infine una data di scadenza per tutti: sessantaquattro anni, al cui compimento la gente viene terminata.

Ci sono passaggi che denotano quanto l’alimentazione, ma anche la scelta di risorse alternative, siano una presenza costante e quasi soffocante: ho odiato il seitan, i tortellini ripieni di creme vegetali, la carne clonata (che non ha origine animale) salvando solo la bioplastica. Questo insieme di elementi green sembrano togliere sapore e senso alla vita dei personaggi. Il tutto unito al “riposino”, l’ora di sonno a cui tutti sono costretti a sottostare. Compromessi per una vita migliore, che però ha un sapore troppo sbiadito per essere vissuta.

Una storia che di pagina in pagina sappiamo dove vuole andare a parare, ma il finale non è per cuori delicati: con poche parole distrugge tutto. Non voglio fare spoiler, ma vi garantisco che sono rimasta a guardare la pagina dei ringraziamenti, sperando che dopo quella fine, un qualche modo, ci potesse essere un lieto fine.

Una lettura spiazzante, che ho letto con i suoi tempi (a volte non più di un capitolo al giorno), perché questa scrittura va lasciata decantare, non si può divorare dall’oggi al domani. Un modo per riflettere su quello che potrebbe essere un domani, un romanzo a due voci che urla ai lettori una tremenda morale: è forse così che dovremo vivere? Pagare un sacrificio enorme perché il mondo sia salvo, ci ripaga veramente? Lo so che sono di parte e una brutta persona, ma io al mio McMenù non ci rinuncio per un mondo migliore.

Thunderhead

Recenzione Thunderhead di Neal Shusterman

Citra è ormai divenuta la Falce ‘Madame Anastasia’, una falce che spigola dando il tempo alle sue vittime per prepararsi alla morte. Rowan, a suo modo, è divenuto “Maestro Lucifero” e elimina le falci che non hanno etica nel loro operato. Come se non bastasse il Thunderhead ha un piano perché tutto raggiunga un equilibrio…

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Le trilogie distopiche di questi tempi mi stanno deludendo tanto… In realtà ci vedo uno schema: Divergent e Hunger Games (per citarne alcuni) hanno un percorso verso la distruzione della distopia vigente; se prendiamo invece quelle in volumi singoli classiche come per esempio  Fahrenheit  451 o Il mondo Nuovo, ecco che la situazione è diversa, il lettore rimaneva inorridito e il libro lo portava a riflettere sul concetto “cosa posso fare perché un futuro come questo non si avveri?”. Invece questi volumi sono più un viaggio avventuroso, dove il singolo risponde alla chiamata per poter distruggere il mondo (sbagliato) in cui vive.

Vi dico questo perché fino all’ultimo capitolo ero convinta che il canovaccio fosse abbastanza banale e ovvio. Invece la storia ha un portentoso plot twist che non è prevedibile, ma… sì abbiamo un “ma,” ciò che lo precede a mio parere non è sufficiente a salvarlo dalle molte critiche.

Partiamo dal Thunderhead. Lo si conosce sempre di più, ma i suoi interventi alla fine del capitolo a volte risultano eccessivi. Farlo diventare un personaggio a tutti gli effetti lo rende a volte scomodo e di troppo (anzi quando dovrebbe esserci non c’è mai). Il secondo aspetto che devo Criticare è Rowan a inizio libro, la sua scelta di diventare una Falce ammazza Falci è sciapa, infatti ho apprezzato molto di più la sua presenza passiva nell’evolversi della trama. Non voglio aprire il capitolo romantico perché rimane coerente all’incoerenza con cui era stato trattato nel primo volume, praticamente è un qualcosa che proprio si poteva evitare o semmai scrivere meglio. E infine, non faccio spoiler, la carrambata (è un termine troppo vintage perché lo si capisca?): ecco, non ci siamo, i colpi di scena devono essere coerenti, quando sono così eccessivi come quello del “nuovo cattivo”, ho temuto che il resto della lettura sarebbe stato noioso.

Cosa salva questo libro dalla bocciatura a pieno titolo? Da una parte l’introduzione di nuovi personaggi come Greyson che, una volta identificato come losco, ho trovato noioso e sul finale ho capito che questa volta mi ero lasciata ingannare dallo scrittore. Dall’altra, come ho già detto sopra, per lo meno il finale non sembra il preludio di una guerra che i protagonisti dovranno combattere nel terzo volume. E questo mi da molta speranza.

Quindi direi che non sono ancora pienamente convinta ma rispetto al primo volume va molto meglio. Mi riservo di farvi sapere se davvero consigliarvi questa trilogia quando avrò letto il terzo e ultimo volume, in ogni caso tenetela d’occhio.

L’ascesa di Senlin

Recensione L’ascesa di Senlin di Josiah Bancroft

Thomas Senlin è probabilmente la persona più edotta sul ciò che concerne la Torre di Babele. Lui stesso insegna ai suoi studenti tutto quello che sa di quel luogo, così unico e spettacolare. Per questo decide di andarci in luna di miele con la sua amata sposina Marya. Eppure quel luogo così bello e impressionante cela un lato oscuro.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Questo volume apre la serie dei libri dedicati alla Torre di Babele. In questo ultimo periodo cerco di evitare nuove saghe, ma a questa non ho potuto resistere, e ho fatto benissimo!

Quanti partendo per una località tanto sognata, si sono scontrati con la realtà locale che non è sempre così bella se vissuta in prima persona? Ecco Senlin ha sempre desiderato visitare la Torre di Babele, si può dire che ha fatto di tutto per andarci in viaggio di nozze. Eppure al suo arrivo nulla è come aveva studiato sui libri: perde la moglie, viene derubato e picchiato, insomma non è proprio così che si aspettava di vivere la sua vacanza; oltre a questo dovrà ammettere che non gli resta altro che salire quella torre in un modo o nell’altro per potersi ricongiungere a Marya.

Man mano che la salita prende piede anche  gli evidenti elementi devianti non sono mai troppo palesi per il lettore, si passano capitoli a sperare che tutto si risolva, invece la torre dimostra i suoi aspetti più crudeli sempre più radicati nelle figure di controllo, nell’imprigionare i suoi ospiti. Al lettore viene spontaneo un dubbio: qualcuno è mai tornato dalla torre?

Senlin è un personaggio retto, un buono che si scontra con il mondo crudele e senza alcuna pietà della torre. Perde tutto e rischia la vita, poi però impara che non resta altro che giocare il tutto per tutto. Il suo personaggio evolve e non lo fa facendosi corrompere: certo cade, sbaglia, ma sui suoi errori impara che deve sempre rialzarsi e salire: deve trovare sua moglie.

Non si tratta del solito libro, e l’unico difetto che trovo tra queste pagine è che si tratti di un volume uno. Un poco mi spiace perché avrei voluto vedere questa storia finita. Eppure trovo che sia un libro che consiglierei caldamente a tutti coloro che cercano un distopico contemporaneo, che non sia banale o rivolto solo a giovanissimi lettori. Lo definiscono una specie di moderno Dante, in cui è l’ascesa alla torre a rappresentare la discesa negli inferi del sommo poeta, ma a mio parere è qualcosa di nuovo, di molto più scombussolante, e di meno lirico. Anzi semmai trovo che la torre sia molto più sporca di quanto non lo sia l’inferno stesso.

Perché leggere questo libro? Perché si rivela una lettura interessante, perché non è il solito successo estero che viene portato in Italia perché vende, perché l’edizione Oscarvault merita, e soprattutto perché è ben scritto. Insomma se ancora non vi ho convinto, provate a sfogliare questo volume in libreria, sono certa che poi non lo lascerete lì.

Recensione Il mondo nuovo e Ritorno al mondo nuovo di Aldous Huxley

Recensione Il mondo nuovo e Ritorno al mondo nuovo di Aldous Huxley

Se penso ai grandi libri distopici, vengono fuori sempre tre titoli abbastanza noti: “Fahrenheut 451”, “1984” e “Mondo nuovo”. Il più vecchio è quest’ultimo, la cui lettura avevo fino ad ora evitato, un po’ perché spaventata dalla sua età (parliamo di un libro del 1932) e anche perché del trittico ho letto solo Ray Bradbury e pensavo che prima avrei affrontato George Orwell; invece con questa nuova edizione ne ho approfittato per studiare questo primo grande distopico.

Attenzione questo libro è stato fornito da Mondadori.

Per quanto questo volume sia datato, c’è una cosa che mi ha sconvolto con la lettura delle prime pagine: la predestinazione dei feti. Nel “Mondo nuovo” i figli non nascono, vengono travasati e prodotti in laboratorio, dove a seconda della qualità degli ovuli fecondati, esso avrà una posizione sociale ben definita. I migliori resteranno unici, gli altri arriveranno a una mitosi infinita fino ad avere migliaia di copie. Abbiamo quindi bambini che nasceranno in serie e saranno condizionati per fare lavori umili, e altri che invece saranno destinati a occupare importanti posizioni nella società.

Perché tutto questo? A quale scopo una società che vive imprigionata dal condizionamento subito sin dalla nascita? In questo mondo ideale le libertà negate sono la fonte primaria della felicità. Il mondo rialzatosi da profondi sconvolgimenti, ha rinunciato al concetto di famiglia, di sessualità monogama, alle aspirazioni del singolo, ricevendo in cambio una società autosufficiente che si consola a colpi di pillole allucinogene.

A tutto questo si contrappone un mondo selvaggio, quello della riserva nel Nuovo Messico, dove gli uomini posso ancora nascere naturalmente senza condizionamento. Una contrapposizione in cui troviamo un ibrido, una via di mezzo, il selvaggio John, nato da una donna che non avrebbe dovuto o potuto partorirlo (pratica che per i personaggi ha del ridicolo, pornografico e proibito), sarà questo Selvaggio, che ha letto le opere di Shakespeare,  a scontrarsi con il Nuovo Mondo, quello da cui viene davvero, ma la durezza di una cultura dove non esiste una libertà e tutto è condizionato lo porteranno a odiarla.

Non è un distopico che richiama i canoni che ormai sono alla base dei molti libri che escono oggi. La società del Mondo Nuovo è felice della mancanza di libertà, è stata lei stessa a chiedere queste privazioni perché sembrano essere l’unico modo di vivere, un equilibrio di consumismo e soppressione di identità indipendente. Non esistono delle repressioni vere e proprie, questo ci porta a domandare quanto saremmo in grado di odiare davvero un mondo come questo.

Il saggio a conclusione del volume “Ritorno al Mondo nuovo” analizza la storia dell’uomo e sulla struttura delle società, con un occhio più maturo al romanzo e dove nel 1950 l’autore era certo che saremmo arrivati a viverlo sulla nostra pelle il Mondo nuovo. Più leggo questo genere di romanzo e più mi domando quanto l’uomo stia facendo per farmi credere che la distopia sia solo nei romanzi…

Un volume che ha fatto la storia della fantascienza che ha aperto la porta a una nuova visione del futuro, meno roseo, meno irreale di quanto si possa pensare per i nostri tempi.

Catena Alimentare

Recensione Catena Alimentare di Stefano Tevini

Gootchi è una nullità. In un mondo dove le tensioni tra colleghi si risolvono sul ring della palestra aziendale, dove i viaggi vacanze sono scanditi da attività paramilitari, dove i reality show offrono pestaggi all’ultimo sangue, essere all’ultimo gradino della scala sociale equivale a rischiare di perdere tutto. Un amico però gli consiglia di reagire e di seguire un percorso con il noto life coach Gooroo. Questo è l’inizio della scalata per la cima della catena alimentare.

Attenzione questo libro è stato offerto da Stefano Tevini.

Ho letto quasi tutto di questo autore e ogni volta non posso che riassumere il suo lavoro con l’aggettivo “Teviniano”. Stefano si sente proprio in queste pagine, come sempre. È suo, lo rispecchia, a volte mi sembrava quasi di sentirlo leggere a piena voce nella mia mente. Ma cosa significa che è Teviniano? Significa che questo libro non ha confini, non ha paura di portare sulle pagine la violenza, il razzismo e il sessismo. Già perché “Catena Alimentre” mostra un viaggio verso la creazione di un mostro.

Gootchi è il peronaggio che dovrebbe essere l’eroe e invece la sua metamorfosi da uomo represso e infelice lo porta a diventare un essere sempre più odiabile, che ci fa schifo compiendo azioni riprovevoli eppure è felice si sente realizzato. Quanto è distante, dalla nostra realtà, questo mondo in cui essere odiosi paga in visualizzazioni, in cui il singolo ha il diritto di fare tutto quello che ci fa sentire realizzati?

Le prime pagine mi hanno ricordato moltissimo “Fight club”, eppure si capisce pian piano quanto invece il mondo di “Catena Alimentare” sia più oscuro: non serve un io “cattivo” a portare il personaggio alla perdizione, anzi, è semplicemente l’essere se stessi seguendo gli ideali di una società a piramide, dove non conta la base ma arrivare alla cime; il migliorarsi a rendere Gootchi libero di essere uno stronzo, il migliore in assoluto infischiandosene dei sentimenti, di chi lo circonda.

Il tocco di classe poi sta nei nomi: Gootchi, Gooroo, Sis Ko, Renò tutti nomi che fanno riferimento a marche Gucci, Guru, Cisco e Renault un aspetto che mi ha trasmesso, appena messo a fuoco il gioco di parole, come le persone non avessero diritto a una personalità propria, perdendo l’identità e assumendo nomi meno banali in un mondo dove è tutto immagine, dove non ci sono veri diritti.

Un libro che si legge in poche ore e costruisce un mondo che dovremmo odiare, eppure non è così distante dal nostro, dove la violenza ha più click della divulgazione. Siamo tutti capaci di leggere storie in cui il canovaccio è quello del viaggio dell’eroe, ma quanti sarebbero in grado di capire e affrontare il viaggio verso il mostro? Vi invito a mettervi tra queste pagine e vedere quanto sia semplice, proprio come spesso accade anche nel mondo reale, forse siamo solo mostri in attesa della nostra occasione?

La tuffatrice

La tuffatrice di Julia von Lucadou

Riva è una tuffatrice, i suoi lanci dai grattaceli sono i più premiati e seguiti. Ha un compagno che la ama, una vita che sembra perfetta da ogni lato. Eppure, senza una ragione specifica decide di smettere con i tuffi, di fregarsene di tutto. Per questo a Hitomi Yoshida viene affidato il compito di riportarla sui suoi passi. Gli investitori e l’allenatore rivogliono Riva sul trampolino, pronta a gettarsi ancora e ancora, a sponsorizzare i prodotti.
Attenzione, questo libro è stato fornito da Carbonio Editore.
Ve lo confesso, sarà difficile parlarne e questo significa due cose: non è un libro che si può semplicemente raccontare, va letto per essere scoperto nella sua interezza, e inoltre riassumere certe situazioni mi sembra riduttivo dopo averle vissute pagina dopo pagina.
La lettura è stata quasi deviante, la sterilità di emozioni che traspare dalla sua lettura mi ricorda ormai quello che accade sui social. Tutti a dire la propria su un fatto, ma nessuno che combatte più delle vere battaglie per i propri pensieri. Basta un RIP in bacheca per sentirsi parte di un lutto, basta dire la propria opinione su quell’argomento e vi siete espressi prendendo una posizione su fatti che magari andrebbero approfonditi prima che giudicati. A questo si devono aggiungere i Casting Queens™ che hanno il sapore dei nostri talent show, dove si determina il destino dei partecipanti, dando la possibilità a tutti di arrivare a ottenere una fuga dalle periferie. Una costante ricerca del successo, dei numeri, del creare contenuti che vengano condivisi e commentati. Il bisogno di enfatizzare le proprie parole con frasi fatte inglesi che sembrano quasi l’evoluzione dei nostri hashtag. Vorrei tanto pensare che il mondo creato dall’autrice fosse lontano, invece il terrore è che lo vedo già in costruzione oggi.
Non è una distopia commerciale, la si può semmai ricollegare a grandi nomi del genere, con l’innovazione di una visione contemporanea. Il mondo del lavoro che schiaccia i lavoratori, il constante bisogno di dare migliori prestazioni, avere migliori crediti per potersi permettere una casa migliore una vita migliore.
L’aspetto psicologico di questa società che ha tablet costantemente in mano, che è sorvegliata in ogni suo ambito, è un altro elemento ansiogeno: Hitomi che non ha una sua propria convinzione, ma ha sempre cercato di dare il massimo e di dimostrarsi degna delle opportunità che otteneva, dovrebbe offrire supporto psicologico a Riva, o meglio, deve riportarla a essere di nuovo quella che gli altri vogliono che sia, e i suoi successi e insuccessi determinano quanto meriti avere dei crediti e quanto invece potrebbe perdere tutto. Perfino le proprie prestazioni fisiche, il rapporto tra sonno e veglia, sono tutti fattori che rendono una persona migliore o peggiore delle altre. C’è una costante ansia di essere nella media o di fare meglio degli altri.
Non credo che questo libro sia per tutti, ma credo che tutti dovrebbero leggerlo per capire quanto la caccia di like e follower potrebbe portarci a un mondo in cui contano solo i numeri e non quello che vogliamo essere.