Anno di letture della Chimera

2020 – L’anno di letture della Chimera (terza e ultima parte)

Come dicevo in precedenza, del 2020 mi hanno colpito cinque volumi. Ognuno con caratteristiche diverse e con storie uniche. Partiamo dal fondo della classifica.

Al quinto posto: “Pomodori verdi fritti al caffè di Whislte Stop”, un titolo sempreverde e che per quanto lo vedessi nelle librerie di altri lettori, ignoravo la sua storia, o anche solo che ci fosse un film tratto da esso. Pensavo fosse solo un libro di massa invece si è rivelato una sorpresa. L’ho letto con piacere, con calma, ci ho messo quasi un mese e non mi sono pentita, né del tempo passato insieme, né di aver aspettato per leggerlo. È arrivato quando serviva e sono certa che il prossimo Fannie Flagg che leggerò arriverà proprio come Gandalf, quando ne avrò bisogno.

Al quarto posto: “L’ultima ricamatrice”. Letto perché ero attirata dalla trama, sono finita nell’intreccio dell’ordito che lo compone. È un libro che non ha una storia davvero speciale, eppure racconta di un mondo che sta scomparendo, quello delle sarte, delle ricamatrici, delle donne che con ago e filo hanno tenuto insieme la storia del nostro paese e che quasi nessuno ricorda. Ha risvegliato ricordi difficili, ha rievocato l’amore che avevo per il punto croce e l’uncinetto e mi ha fatto capire che stiamo abbandonando il tempo che dedicavamo a queste attività. Oggi sono relegate al poco tempo dei nostri hobbies e non a una attività necessaria anche per liberare la mente e creare qualcosa per noi, per la nostra casa o per il semplice piacere di farlo.

“Gli inganni di Locke Lamora”. Primo volume di una trilogia che promette molto. Devo però metterlo al terzo posto, gli altri due volumi restanti non possono meritare di meno. Non ho voluto premiarlo nei migliori Fantasy perché era davvero molto di più. L’ambientazione, i personaggi, e nonostante la mole, si divora con piacere e mi sento di consigliarlo a tutti, ma proprio a tutti, anche a coloro che di solito non apprezzano la componente fantastica. Peccato che Nord non l’avesse valorizzato abbastanza nel 2011, peccato che nessuno prima di Mondadori avesse avuto il coraggio di pubblicarlo di nuovo, perché questo libro (e credo anche i successivi) merita il suo spazio in tutte le librerie.

Mi hanno sempre detto che leggere e scrivere vanno di pari passo. Ecco, al secondo posto metto un volume che chiunque voglia scrivere un romanzo dovrebbe leggere: “Fiamme nella palude”. E’ così che si scrive un romanzo. Così si crea una trama (ok, il finale è po’ un’americanata). Si sente che è un libro che difficilmente si può attaccare in qualche modo; magari non amate il fantasy, ma il modo di raccontare una storia di dare vita a dei personaggi, non era mai stato fatto così bene. Questo libro è la messa in pratica di tutte le possibili lezioni di scrittura che si possano prendere. Se volete scrivere dovete leggerlo, studiarlo e poi scrivere come se non ci fosse un domani.

Infine, il meglio del meglio. E’ un libro che non avevo richiesto e che mi è stato donato dall’editore. “Il talento del crimine”. Non so nemmeno cosa altro dire. Come spiegare quanto sia stato un sogno, come lettura, come storia, come scoperta? È stato uno dei pochi libri in vita mia che avrei voluto sottolineare (peccato mortale, degno della pena capitale, in casa Chimera). Le tematiche trattate sono varie e  snocciolate con una profondità che resta dentro. Prima di scrivere questo articolo ho riletto uno dei passaggi più belli. Sono passati mesi eppure anche così, estrapolato dal contesto, riletto per rievocare la sua lettura, ha lo stesso sapore della prima volta. Che dire se ancora non avete letto nulla di questa autrice provate, fidatevi non ve ne pentirete.

Con i libri ho finito ma resta ancora una cosa di cui parlare… del mio anno come autrice. Quindi sì c’è altro da leggere sul 2020, ma ne parliamo in un altro articolo.

Letture della Chimera

2020 – L’anno di letture della Chimera (seconda parte)

Riprendiamo da dove mi ero interrotta. È ora di parlare del meglio della Distopia. È un genere che dopo Hunger Games è scaduto nello young adult, dimenticando le vette raggiunte dai capolavori che gli avevano dato un peso importante. Attenzione amo gli YA, ma troppo spesso diventa quasi una caricatura di se stesso. Sono felice di averlo riscoperto attraverso romanzi che hanno lasciato altrove questa bruttura, e il meglio è segnato da “La tuffatrice”, “Catena Alimentare” e “L’ascesa di Senlin”. Questo trittico ha caratteristiche diverse: i primi due futuristici, il terzo più fantasy, ma sono pronti a togliere il velo di felicità dietro cui, una società perfetta, nasconde il marciume della sua essenza. “L’ascesa di Senlin” non è propriamente distopico, ma la torre e la favola che viene raccontata su di essa sono un ottimo spaccato del mondo moderno, dove siamo capaci di vedere e vivere l’irrealtà senza capire che, in fondo, dietro a così tanta perfezione non c’è altro che una facciata.

Fantasy e Urban Fantasy… come sempre il primo amore non si scorda mai, ma questa volta ho fatto davvero fatica a creare un podio. Ad esclusione di uno che mi ha davvero sorpreso, gli altri due sono stati quasi unicamente intrattenimento con molti (forse troppi) difetti. Partiamo dalla coppia che si è “lasciata leggere” con piacere nonostante l’imperfezione, anzi, tra buchi di trama e cadute di stile si sono rivelati un bel groviera; mi riferisco a “Crescent City” e “La guerra dei papaveri”. Il primo davvero troppo prolisso, ma che mi ha tenuto compagnia con piacere. Il secondo, con grandi errori nella trama, che però si legge con piacere grazie alla scelta dell’ambientazione orientale, un elemento che si rivela importante e non di solo contorno.”Wicked Tapes”, il podio è di nuovo di Margherita Fray. Si rivela il romanzo (anche se breve) più bello del genere: è completo, frizzante, sconvolgente, romantico e ha una struttura alternativa. Consigliato perché è anche una prova d’autore sensazionale: dimostra la versatilità di chi scrive, la flessibilità a non rimanere ancorati all’etichetta di un genere, e il pregio di adattare se stesso alle storie che vuole raccontare.

Ora senza indugi andiamo al meglio del meglio. Di solito nomino tre migliori titoli, più una menzione speciale ma la realtà è che quest’anno ho letto dei libri che meritano di essere citati. Non posso ridurla a numeri così bassi, abbiamo tre menzioni speciali e ben cinque volumi sul podio.

Da citare a margine, perché hanno fatto in qualche modo la differenza di quest’anno, sono “Poirot – Tutti i racconti” che mi ha aperto gli occhi sulla figura di questo investigatore il cui accento francofono e i baffetti mi avevano sempre attirato, ma con cui pensavo non sarebbe potuto scoccare nulla e invece è stato amore. Il secondo che cito è “Cuori Arcani”, una storia davvero particolare che trasudava di profumo d’arancia e mi ha mostrato come l’amore per i luoghi può portare a creare storie poetiche. Non è un libro che ho promosso a pieni voti, anzi, ma voglio rileggerlo perché credo di averlo iniziato in un momento sbagliato. Sono sicura che quando lo rileggerò si mostrerà in tutto il suo splendore. Infine, ma non per questo da sottovalutare, “Paul Verlaine – il fiore del male”, una storia che mi ha mostrato come un editore possa tirare fuori dalla bravura dei suoi autori una collana editoriale che ha un potenziare incredibile.

Chi c’è sul podio però? Beh… facciamo che ve ne parlo in un articolo a parte.

Gli inganni di Locke Lamora

Recensione Gli inganni di Locke Lamora di Scott Lynch

Prendete Venezia, fatto? Aggiungete una sana dose di avventura, fatto? Mescolate energicamente mentre a cascata versate alchimia, ladri di strada e gilde. Fatto? Ora lasciate riposare in attesa che Mondadori faccia la magia, tra grafica d’effetto e raffinata ricercatezza nell’impaginato, ed ecco a voi pronto per la lettura “Gli inganni di Locke Lamora”, primo volume della serie The Gentleman Bastard Sequence!

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.

Era il 2019. Io con i soliti fedeli amici scrittori delle due pagine al giorno, in una casa a guardare insieme le lezioni della Masterclass di Neil Gaiman. Lo so, state pensando che stia divagando, ma fidatevi che arrivo al punto. Non ricordo bene cosa ci portò a parlare de “I bastardi galantuomini”, ricordo solo che mi bastarono le parole “Venezia fantasy”, unite a “avventura”: dovevo leggere questo libro. Con piacere mi dissero che la serie, interrotta da anni dalla Nord, era già nelle mani della produttiva Mondadori che, sotto alla linea editoriale Oscar Vault, stava mettendo in programma la riedizione dei primi volumi, oltre a pubblicare il terzo volume ancora inedito di questa serie.

Devo essere onesta, questa serie non sono riuscita a leggerla al suo debutto. È nella mia wishlist da molto tempo (seppure non lo ricordassi e ci fossero voluti i miei amici di scrittura per farmi tornare la voglia di leggerlo), ma si era perso nelle sabbie del “appena esce il terzo volume lo compro”. Come troppo spesso accade, ecco che la pubblicazione non era mai arrivata e anzi, per fortuna ho atteso per vederlo in questa veste speciale.

L’ambientazione è Camorr, una città che ricorda molto la nostra Venezia ai tempi del Doge. Alla suggestione dei canali descritti da Lynch, si aggiunge anche la componente fantastica che si sente appena nei primi capitoli, attraverso a oggetti e bevande alchemiche, a cui poi si aggiungerà molto altro continuando la sua lettura. Come se già così non bastasse ad affascinare, arriva anche la scelta di non raccontare i piani alti di questo mondo, bensì si parte dalle sue profondità più putride: Locke è un orfano che si trova a finire in una piccola banda di ladruncoli di strada che vive in un cimitero, e che poi arriverà a vestire i panni del più bravo Garrista di Camorr, senza che la città sappia davvero della sua esistenza.

Locke infatti entrerà a far parte di un gruppo molto ristretto di ladri di classe, i Bastardi Galantuomini, votati a truffe con un certo livello di destrezza, in cui gli obbiettivi sono nobili e ricchi mercanti, che nessuno scoprirà.

Da questa lunga premessa potete intuire quanto mi sia piaciuto, perché questa serie sembra avere tutti i presupposti per essere una delle migliori saghe che abbia mai letto (la speranza è che non cali nei prossimi volumi). Ho amato follemente l’ironia delle situazioni e delle battute dei personaggi. Ho trovato geniali i piani per incastrare chi finiva nel mirino della banda. L’unica pecca, che però diventa meno pesante di capitolo in capitolo, è la scelta di una narrazione su due livelli temporali: in uno abbiamo il presente, nell’altro il passato di Locke in cui, oltre a scoprire come è diventato ciò che è ora, viene svelata la storia e le particolarità di Camorr. Di solito questi salti mi indispettiscono moltissimo, ma vi confesso che per la prima volta non mi hanno dato grande fastidio, anzi, per certi versi sono rimasta più volte con il fiato sospeso nel voler sapere di più, e mi sono ritrovata a divorare pagine su pagine per scoprire quello che Lynch aveva lasciato in sospeso in un altro piano temporale.

Insomma per essere un volume uno è parecchio ricco, promette di avere molto altro in serbo nei prossimi libri. Mi trovo a consigliarlo e a dover passare subito al secondo libro di questa saga. Se siete scoraggiati dal numero di pagine, o dal fatto che sia un libro pubblicato nei primi anni ’10 del 2000, ebbene lasciate a casa ogni dubbio. Merita di essere letto!

Sword & Sorcery

Recensione Sword & Sorcery – L’epopea di Fafhrd e del Gray Mouser di Fritz Leiber

Colui che definì lo Sword and Sorcery, fu anche l’autore di questa raccolta di racconti dedicata a due personaggi che hanno contribuito a fare la storia di questo genere. Fafhrd e il GrayMouser altro non sono che i personaggi di una serie di racconti epici, dove avventura, astuzia e belle donne sono le colonne portanti della narrazione.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.

Per voi ho letto Spade tra i Ghiacci, la penultima raccolta di racconti pubblicata ed è forse una delle meno apprezzate dal pubblico. Rispetto ai primi libri dove avventura e ironia la fanno da padrone, in questo volume non si riesce ad apprezzare pienamente le storie, quasi come se il filo conduttore dell’autore si perdesse all’interno dei racconti. Ci sono intatti delle narrazioni molto carine ma davvero brevi, e altre che occupano forse troppe pagine, risultando anche meno incisive. Nei primi infatti è il capriccio divino a dare forma alle difficoltà che troveranno sulle loro strade, mentre gli ultimi due, benché ci sia la presenza di Odino e Loki, sembrano fuori tema rispetto alle altre.

Un elemento che ha certamente fatto il suo tempo, è la sessualizzazione forse eccessiva dei personaggi femminili. Abbiamo una giovanissima fanciulla che fa arrapare i personaggi che, per quanto apprezzi l’ironia di una “esca” che li metterà nei guai, devo ammettere che leggere oggi questa scena risulta meno ironica e più scontata di quanto, forse, fosse percepita all’epoca.

Il finale della raccolta è piuttosto risolutivo e sembra quasi mandare “in pensione” i due personaggi, che trovano felicemente anche le donne da sposare. Questo è forse uno dei passaggi che fece storcere maggiormente il naso ai lettori dell’epoca (ma anche a quelli contemporanei), come se l’avventura fosse eterna e non si potesse accettare, per i loro beniamini, la decisione che forse fosse l’ora di sistemare le proprie cose e iniziare a godersi la vita.

Se si vuole leggere fantasy Fritz Leiber è certamente uno dei più grandi autori del novecento. Certo questi racconti possono sembrare datati o dare un sentore di già letto, ma sono stati tra i precursori di questo genere. I personaggi da lui creati hanno saputo fondere la figura dell’antieroe con l’ironia e la fantasia.

I tesori di Catherine McIlwaine

Blog Tour Tolkien – Il creatore della terra di mezzo – I tesori di Catherine McIlwaine – Il Silmarillion

Come posso spiegarvi “Il Silmarillion”. Lo so che lo ripeto in ogni dove, eppure non smetterò mai di ringraziare Tolkien: con lui ho cominciato a leggere a sedici anni, e ora ho una casa sommersa di libri e vorrei averlo scoperto prima. Ero solo una ragazzina, cercavo solo un libro che potesse farmi affrontare lo scoglio della dislessia. Fu “Il signore degli anelli”, ma anche “Lo Hobbit”, a farlo, anche se il mio più grande amore tolkeniano è legato a “Il Silmarillion”. Questo libro lo si può riassumere come la genesi del mondo della terra di mezzo. Non credo si possa scadere nella poetica narrazione di come il suo autore lo concepì mentre era rimasto ferito nella prima guerra mondiale. No, per me questo libro è qualcosa di più. È storia, è epica, è avventura e tormento, un luogo dove vivono gli eroi, dove nemmeno lo stile del suo autore (per molti ritenuto ostico) mi poté rallentare, anche se era solo il terzo libro che leggevo.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.

Ne “Il Silmarillion” tutto ha un inizio. Credo che i disegni di Tolkien lo facciano percepire più chiaramente rispetto agli altri appunti e incartamenti. È qui che secondo me il maestro ha messo la sua anima. È il luogo dove scatta la scintilla che darà luce e vita a tutto; lo fa con la poesia della musica, che da canto diviene vita. Non sceglie il verbo o un creatore supremo. Lascia che sia il suono a plasmare la terra e le vite. I suoi elfi, i primi uomini in quei boschi eterni, perfetti, che lui stesso mise su carta.

Fa strano vedere i bozzetti di Tolkien, aveva una grande fantasia e non la applicava unicamente alla narrazione. I suoi disegni, a volte legati alle geometrie, stilizzati, sono rivelatori di un qualcosa che la parola non sempre riesce a trasmettere: le atmosfere che solo il colore vivo e le linee possono portare. Chissà se Tolkien si è mai immaginato noi posteri guardare i suoi lavori, più o meno riusciti, per entrare sempre di più nelle sue opere? Mi chiedo cosa penserebbe lui, di questo nostro morboso “avere altro” quando la sua produzione è ormai finita e definita da tempo. Eppure è questo che i libri sono in grado di fare: creare un bisogno che va oltre le pagine. Sono certa che questo stesso “prurito di curiosità” si possa scatenare anche grazie a serie tv o fumetti, ma io non riesco a riconoscerlo così forte, come tra quella magia che si è creata tra me e i libri di Tolkien.

De “Il Silmarillion” devo avere solo tre edizioni (poca roba rispetto alle mie collezioni in cui ho a volte decine e decine di volumi dello stesso libro), eppure sono una più importante delle altre. La prima che ho avuto è stata il regalo di una mia amica dell’epoca per il mio diciottesimo compleanno; la seconda è l’edizione che lessi la prima volta e che pagai uno sproposito perché volevo che fosse proprio quel libro (già raro negli anni 90), infine ho un’edizione inglese perché un giorno vorrei provare a leggerla in lingua madre. Per me questo libro è riassumibile così: come una presenza importante nella mia formazione, un tesoro che ho voluto a ogni costo, una promessa di riscoprirlo nella sua originale interezza quando sarò pronta.

È per questo che non posso far altro che continuare a leggere e informarmi su Tolkien, è per questo che finché ci sarà da scrivere su di lui, io sarò lì a leggere. Anche questi due volumi, lo fanno magistralmente, perdermi tra le loro pagine è stato un modo per tornare su quei primi passi lontani quindici anni.

Il ritmo della guerra

Recensione Il ritmo della guerra di Brandon Sanderson

Abbiamo letto per voi Il Ritmo della Guerra, il quarto volume della Folgoluce dell’inarrestabile Brandon Sanderson, pubblicato da Oscar Fantastica in contemporanea all’uscita negli Stati Uniti, grazie allo straordinario lavoro dello storico traduttore di Sanderson in Italia, Gabriele Giorgi.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori, recensione a cura di Chiara Crosignani.

Il romanzo si inserisce perfettamente nella cornice dei volumi precedenti: non solo per ampiezza (le sue 1330 pagine lo portano quasi sullo stesso livello del precedente Giuramento), ma anche per la pregevolezza artistica di questa serie, caratterizzata da immagini di altissima qualità: a colori, nella quarta di copertina, la rappresentazione di alcuni degli Araldi di Roshar, e, in bianco e nero, all’interno del volume, una selva disegni che ci permettono di visualizzare il mondo creato dall’autore con un’immersione nella sua biologia (soprattutto spren e forme di Cantori), nella sua moda (sospettiamo qui l’intervento di Adolin in persona) e nella sua arte.  Anche solo le dimensioni e l’accuratezza della grafica basterebbe a giustificare il prezzo, senza considerare il contenuto.

Ma Il Ritmo della Guerra è un attesissimo romanzo di Sanderson e quindi è al contenuto che i suoi fedeli lettori mirano. Negli episodi precedenti, forse soprattutto in Giuramento, Sanderson ci ha abituati a un inizio lento (beh, lento per gli standard di Sanderson) e a un finale trascinante, di quelli che lasciano veramente incollati alle pagine per ore.

Il Ritmo della Guerra inizia più rapidamente rispetto al capitolo precedente: è passato un anno dagli eventi conclusivi di Giuramento, ma abbiamo poco tempo per ambientarci nella nuova realtà. Gli eventi si accavallano rapidi, su più fronti, ed è difficile trovare un momento di pausa nell’intero romanzo (chi vi scrive lo ha letto in tre giorni).

Tutti i personaggi principali si trovano ad affrontare sfide che li coinvolgono nella battaglia cosmica per il possesso di Roshar e, potremmo dire, dell’intero Cosmoverso: sì, perché finalmente, con questo quarto capitolo, capiamo davvero la portata della guerra che si sta combattendo, grazie a riferimenti sempre più diretti e precisi agli altri mondi che compongono l’universo sandersoniano. Teorici del Cosmoverso, qui troverete pane per i vostri denti!

Ma l’ampliamento dei confini dell’universo non è il solo elemento che ci ha fatto amare Il Ritmo della Guerra (che, personalmente, abbiamo apprezzato più di Giuramento): come suggerisce il titolo (e come sappiamo da tempo i flashback tipici della serie si concentrano sulle parshendiEshonai e Venli) i Cantori entrano prepotentemente in scena, in tutte le loro (scusate il gioco di parole) forme.

Se già in Parole di Luce e in Giuramento avevamo avuto modo di familiarizzare, e di empatizzare, con gli altri abitanti di Roshar, in questo libro possiamo leggere dalle loro parole cosa hanno vissuto, nel presente del racconto e nel loro tragico passato, per essere diventati quello che sono. Come sempre accade nei testi di Sanderson, il male e il bene sono concetti così interconnessi che non è possibile trovare un rigido dualismo e tutti i personaggi sguazzano nel confine tra moralità e amoralità, tra giustizia e onore da un lato e prevaricazione dall’altro: così, rimaniamo sorpresi da quanto possano essere onorevoli i malvagi nichiliferi e ingiusti coloro che dovrebbero rappresentare la moralità di Roshar.

E proprio in queste sfumature, che obbligano il singolo a compiere scelte dolorosissime, sta la grandezza di questa serie: se in una prima fase della produzione di Sanderson si aveva l’impressione che alcuni personaggi potessero essere meglio delineati, qui i protagonisti bucano le pagine. Kaladin che affronta il buco nero della sua depressione, Shallan afflitta dall’incapacità di gestire la sua personalità scissa dai traumi subiti, Dalinar, titanico nelle sfide che incontra, senza dimenticare il Ponte Quattro, i Radiosi, Navani, del cui rapporto con Gavilar finalmente veniamo a scoprire qualcosa, e che nella sua umanità entra nel novero dei protagonisti del romanzo, e un Adolin finalmente autonomo dall’ingombrante eredità paterna (i fan di Hoid saranno felici di sapere che Arguzia del Re ha un ruolo non secondario nella vicenda).

Il finale del libro è, come da abitudine, un’esplosione di colpi di scena sempre più travolgenti, che ci fa rimanere in astinenza da ultimo capitolo di questa prima pentalogia dedicata a Roshar. Anche questa volta, Sanderson non sbaglia un colpo e la traduzione di Gabriele Giorgi, che rende nel modo migliore i neologismi del Divino Brandon (anche e soprattutto nelle complesse parti tecniche che riguardano le scienze arcane di Roshar), ci permette di godere in tempo reale del nuovo travolgente capitolo delle Cronache della Folgoluce.

Tenebre e ossa

Recensione Tenebre e ossa di Leigh Bardugo

Alina è cresciuta all’orfanotrofio con Mal, da molti anni prova qualcosa per lui. Ma non c’è tempo però per i sentimenti, la missione a cui sono assegnati li porterà ad affrontare la traversata della Faglia d’Ombra, un luogo dove la sua vita cambierà per sempre.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.

Era il 2014 quando lessi per la prima volta questo libro, pubblicato da Rizzoli con una copertina abbastanza intrigante. Oggi, sei anni dopo, Mondadori riporta questa trilogia in Italia e lo fa con classe: grafica molto lussuosa, interni curati e la promessa (che Rizzoli infranse) di pubblicare tutti e tre i volumi.

Sinceramente dopo tutto questo tempo non ricordavo di averla letta, e nemmeno avevo ricondotto l’autrice agli altri lavori già editi da Mondadori. Non mi avevano attirato più di tanto, ma questo libro per quanto non fosse/sia perfetto ci tenevo a rileggerlo. La trama infatti segue dei canovacci abbastanza intuibili e già sfruttati da molti autori negli young adult fantasy, tanto che anche i colpi di scena risultano abbastanza prevedibili.

I punti di forza sono da ricercarsi nello stile semplice e diretto, l’autrice sfruttando la prima persona rendendo la lettura scorrevole; Alina, la protagonista, coinvolge il lettore. Sebbene il punto di vista sia monofocale, si ha una buona visione d’insieme dei personaggi e del mondo Grisha. Alina è la tipica eroina fantasy, modesta, ma che non vuole lasciarsi andare a quello che il mondo le impone. E’ certamente il personaggio meglio costruito a discapito però di Mal e dell’Oscuro, che rimangono in ombra rispetto a lei.

L’ambientazione crea spettacolari suggestioni, una Russia Fantastica che rimane forse un po’ troppo di sfondo, ma del resto siamo nel primo volume. Potrebbe esserci molto di più nei successivi. È interessante come abbia fuso le atmosfere russe all’elemento fantastico.

Per quanto il tempo passi rimane una sola cosa che ora mi aspetto: il seguito. Già perché di questa autrice ho visto arrivare le serie che (ambientate nello stesso mondo) hanno avuto un discreto successo. E’ normale che anche questo primo volume cavalcano quell’onda (e ci spero, voglio gli altri due volumi e li vorrei subito, per favore!).

Consigliato a chi cerca un fantasy senza troppe pretese; la mia speranza è che il secondo libro sia superiore al primo.

Red Sister

Recensione Nona Grey – Red Sister di Mark Lawrence

Nona è una bambina strana. È cresciuta in un villaggio che non l’ha mai accettata e, come se non bastasse, è già stata condannata a morte. Badessa Glass la salva dall’esecuzione portandola al convento e facendola diventare una novizia. Quello che però Nona ancora ignora è che non si tratta di un culto in cui delle donne predicano la religione, loro sono addestrate per uccidere.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Molti che hanno avuto la fortuna di averle come insegnanti vi diranno che la figura della suora è legata a quello della malvagità, ma pensare che siano delle assassine ammetto che è un ossimoro molto interessante. Partiamo dal fatto che già in “Ciao Nì” (grazie Stroncando l’orrore) si potevano trovare suore combattenti, ma vederle in un romanzo con tanto di culto annesso aveva un grande potenziale.

L’idea di base c’è, ma prima si saltare alla conclusione prendiamo in esame il worldbuilding alle spalle dell’idea: siamo in un mondo in cui è rimasta poca terra, dove incontriamo il classico binomio povertà-schiavitù, a cui si contrappongono classi agiate quasi sempre favorite dalla razza. La società ha un chiaro ordinamento, ma da subito c’è dato poco da vedere perché tutto si sposta al convento. C’è immediatamente molta carne al fuoco e questo distrae un po’ il lettore che, a mio parere, vorrebbe leggere di più e vedere la storia procedere.

Il grande difetto della struttura di questo primo volume è riassumibile in “deviazioni di percorso”. Troppo spesso i personaggi si soffermano a parlare del passato, a spiegare (ma lo show don’t tell?) lasciando in secondo piano quello che a mio parere incuriosisce di più come, per esempio Nona, e soprattutto … perché c’è bisogno in questo mondo di suore assassine? Certo le risposte arrivano ma sono spesso gocce nascoste dentro un mare di situazioni, riflessioni o descrizioni. Capisco che si parla di un mondo fantasy complesso, che il lettore deve capire nel suo insieme, ma se non si portano avanti i veri conflitti del romanzo, si rischia di trovarsi impantanati nelle pagine.

Insomma un primo volume molto ricco, e che a guardarlo bene occupa la metà dell’intera trilogia, che ho davvero trovato troppo lento.

Ciclo di Earthsea

Recensione La saga di Terramare di Ursula Le Guin

I puristi lo chiamano “Ciclo di Earthsea”, qualcuno conosce il non proprio riuscito lungometraggio dello studio Ghibli “I racconti di Terramare”, finalmente però questa saga si trova racchiusa in un volume unico, pronta a portare i lettori in un arcipelago magico e unico.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Che la chiamate in un modo o nell’altro, l’arcipelago in cui sono ambientate le storie create da Ursula Le Guin risultano un mondo diverso rispetto a quello che fino a quel momento (parliamo del 1968) si poteva trovare nei libri fantasy. È la stessa autrice a parlare di come alla sua stesura si fosse resa conto che gli unici protagonisti e maghi delle letture più in voga fossero quelle di uomini bianchi, anziani barbuti, con grigie vesti pronti a guidare l’eroe di turno. Invece la sua scelta verte su un protagonista giovane mago, che cresce accanto al lettore; una scelta che al giorno d’oggi non ci sembra così innovativa ma per i suoi tempi lo fu. Come se non bastasse gli abitanti di Terramare hanno la carnagione che dal bronzo arriva a tonalità più scure, una scelta che pochi trasmetteranno attraverso le copertine e illustrazioni (guardate anche solo il trailer del film Ghibli) e che in questa edizione è ben sottolineato.

Una storia innovativa che proietterà il fantasy in una dimensione più complessa della semplice narrativa di genere. Ursula trasmette attraverso Ged, e gli altri protagonisti, quanto il fantasy possa essere letteratura, non semplice intrattenimento, tematica che la stessa autrice ribadisce nelle postfazioni.

L’ambientazione è un complesso arcipelago di isole, non abbiamo quindi il tipico cammino verso mondi sconosciuti, i personaggi si muovono su navi. A questo si aggiunge anche la vastità di popoli e creature che lo abitano. Non annoia mai, si passa gran parte del tempo anche a controllare i nomi, a seguire i viaggi delle navi, lungo la mappa all’interno del libro.

L’ambientazione è esotica, il protagonista giovane, che cosa dovrebbe renderlo così profondo? Le tematiche trattate nei libri non sono semplicemente l’ennesima trasposizione del viaggio dell’eroe, se prendiamo il primo libro, non esiste un antagonista da sconfiggere. Ged deve affrontare le conseguenze di un suo errore, non abbiamo una guerra, o un prescelto: il personaggio principale è eroe come anche nemico di sé stesso. Alle tematiche poi si aggiunge uno stile narrativo molto vario, i capitoli sono lunghi, con pochi dialoghi e tantissimo spazio alle storie dell’arcipelago; ci si trova a leggere pagine e pagine e quasi sembra che il libro non finisca più, eppure non è appesantito da descrizioni o divagazioni. È un fantasy dal sapore classico con un pizzico di innovazione, che si sente ancora oggi dopo tutto il tempo passato dal primo libro.

Se siete dei cultori del genere certamente lo avrete letto, e se non lo avete ancora fatto (malissimo!) è da recuperare all’istante. Una pietra miliare nel genere in cui solo gli uomini sembrano trionfare nelle classifiche di vendita, eppure questa donna ha saputo scrivere di meglio, anche se è rimasta a mio parere troppo in ombra. E’ ora di riscoprirla e, perché no, con un’edizione di lusso come questa.