Alice per Sempre

Recensione di Alice per Sempre di Dan Panosian, Fabiana Mascolo e Giorgio Spalletta

Alice ha una vita complicata. L’unico rimedio comodo per stare bene, è tornare nel paese delle meraviglie. E solo l’oppio lo permette. Siamo nell’epoca vittoriana, una donna non può permettersi certe fughe senza rischiare che tutto questo metta in pericolo la sua reputazione. Per questo Alice decide di farsi ricoverare in un manicomio. Arriva in Italia il volume “Alice nerver after”, che Saldapress propone con il titolo “Alice per sempre”, una serie che in America era edita in 5 mini volumi e, che per il nostro paese, ci viene già proposta in una raccolta unica. Cosa aspettarci però da questo volumetto?

La premessa della trama è abbastanza semplice. Nell’insieme la storia ricorda abbastanza il film “Sucker Punch”. Non che ciò sia un difetto, ma ammetto che avrei voluto una storia più fresca; il complicato e intrigante rapporto tra Alice e la psichedelia non è certo una novità, come anche includere l’ambientazione dei manicomi (si veda Alice: Madness Returns). Questo rende la trama come un mix che a volte sembra avere il retrogusto già sentito o visto altrove. Questo non significa che determinati elementi non possano essere riproposti con una nuova storia, ma qui a mio parere la narrazione sembra restare in una comfort zone. Nella trama quindi non ci sono grandi novità (sempre che abbiate visto “Sucker Punch”, giocato a “Alice in Madness” per citarne un paio). Interessanti sono però i parallelismi tra questa Alice e quella classica/storica: ecco che le sorelle che compaiono hanno i nomi delle corrispettive della vera Alice che ispirò Carroll. A ciò si aggiunge anche la scelta di portare alcuni elementi di Wonderland nel mondo reale: la direttrice Hulda richiama la spietatezza no-sense della regina di cuori, i due carcerieri Thomas e Theodore sembrano Pincopanco e Pancopinco e, controllando meglio, si trovano molti altri esempi. Una nota intrigante è anche la scelta di mettere il punto di vista nelle mani dei due gatti di Alice: Kitty e Bucaneve. Il tutto accompagnato anche dalle piccole avventure che si possono godere in parallelo sul lato superiore di alcune tavole.

Se quindi per la trama lascio una sufficienza, per i disegni magistralmente realizzati da Giorgio Spalletta e colorati da Fabiana Mascolo dietro il character design di  Dan Panosian, mi sento di dare l’eccellenza. Quasi mi spiace non sia stato proposto nel formato americano, (cinque volumi singoli), dove ci sono state proposte diverse variant cover davvero uniche e spettacolari.La domanda quindi è: vale la pena l’acquisto di questo volume, da parte degli amanti di Alice?

Come vi dicevo poco sopra, non si tratta di un volume con una storia nuova, le vibes sono abbastanza canoniche. Questo non significa che risulti essere un volume di bassa qualità: partiamo dal presupposto, che avendo letto e visto tantissimi retelling o adattamenti di Alice, sorprendermi è cosa alquanto difficile. Questo invece potrebbe succedere per altri che non masticano Wonderland ogni giorno, la trama a loro apparirebbe davvero originale. Infine la componente grafica è davvero intrigante e non richiama classicismi Disneyani, anzi è una Alice molto Americana. Certo ritroviamo i capelli biondi e l’abito azzurro, ma questa Alice non ha nulla in comune neanche con quella Burtoniana.

Un fumetto che attendevo da tempo (dovete sapere che avevo intercettato le uscite americane prima ancora di scoprire che Saldapress lo programmasse in Italia) e che un poco mi ha deluso perchè mi aspettavo altro, ma non si tratta di una proposta di serie B che sconsiglierei, anzi, grazie anche la formato medio si può godere di questa Alice. Se volete scoprirla (perché poco la conoscete) questo è un buon esempio di come si può trasformare un classico letterario in qualcosa di horror e psichedelico. Se però siete master & commander in cadute in tane del bianconiglio … ecco, non aspettatevi grandi stravolgimenti a strade che, molti, altri hanno già percorso nel paese delle meraviglie.

Cheshire Crossing

Blog tour Cheshire Crossing di Andy Weir e Sarah Andersen

La location, che secondo me risulta la meglio trasposta, devo confessarvi che non è quella di Alice, bensì quella del Mondo del mago di OZ. Del resto è anche la prima in cui ci troviamo catapultati dal mondo reale, quella che ha elementi così semplici, eppure così caratteristici da farci capire subito che si tratta di OZ. I papaveri, come anche la strada di mattoni gialli, sono un chiarissimo richiamo al mondo fantastico scritto da L. Frank Baum, e da subito risalta maggiormente rispetto all’Isola che non c’è e al Paese delle Meraviglie. Credo che questo sia dovuto anche da altri fattori, per esempio di OZ non ci sono così tanti re-telling e graphicnovel (o almeno non sono arrivate nel mercato italiano), di conseguenza si hanno molti meno termini di paragone. Se consideriamo che di OZ abbiamo solo due grandi film, mentre per le altre troviamo tantissimo materiale: hanno infatti la sfortuna di essere state riadattate in molteplici modi (potete nominarne 5 versioni senza nemmeno sforzarvi troppo, provate!) e si fa più fatica ad apprezzare con questo stile di disegno molto semplice. Sì perché su molti elementi il disegno è ottimo, in altri a mio parere rimane sciapo. La stessa nave di Uncino me l’aspettavo più rococò, meno stilizzata (dopo Hook, Capitan Uncino, non ci sarà nave meglio azzeccata!). Anche il Paese delle Meraviglie appare troppo semplificato e, visto che per Alice è un luogo da incubo, mi aspettavo elementi più forti a definirlo.

Il mondo reale (che ha poco spazio) invece ha una sua colorazione molto chiara e dominante: i toni ocra, senape, danno un tono accogliente e, non a caso, per quanto lo si percepisca come “manicomio” è un luogo che ha il sapore di casa. Il colore caldo (che anima anche Oz) si contrappone invece ai mondi di Alice e Wendy che appaiono molto più freddi.

Sì, lo confesso, tutti quei papaveri rossi hanno fatto breccia nel mio cuore, tanto da farmi lasciare in secondo piano le altre due location fantastiche di questa graphicnovel. La mia speranza è che se sarà prodotto un secondo volume, magari, lo stesso lavoro di risalto potrebbe essere fatto sulle altre ambientazioni.

Cheshire Crossing

Recensione Cheshire Crossing di Andy Weir e Sarah Andersen

Prendete Alice, sì, quella del paese delle meraviglie. Doroty, sì, la tipa con le scarpette rosse che ama saltellare sulle strade con i mattoni gialli. Infine Wendy, la “Mamma” di Peter pan e i bimbi sperduti. Fatto? Ora shakerate tutto con un pizzico di eccentricità e il risultato è Cheshire Crossing.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.

Partiamo dal presupposto che proprio un anno fa (dal giorno in cui sto scrivendo questo articolo), a Candem Town, un fumettaro mi stava proponendo una graphicnovel crossover tra queste tre protagoniste; era una versione molto più adulta di Cheshire Crossing e vi confesso che un poco mi pento di non averla comprata. In ogni caso mi fa molto sorridere trovarmi a scrivere questo articolo ora, dopo un anno, e parlare delle stesse tre ragazzine, in un’opera che ha del geniale.

Andiamo con ordine. Qualcuno di voi ha mai visto “Nel fantastico mondo di Oz” (conosciuto anche con il titolo “Ritorno a Oz”)? Trattasi del secondo film dedicato alla serie che Disney produsse negli anni ’90 e che partiva dallo stesso input di questo volume: se Doroty fosse esistita, dopo il suo viaggio nel mondo di Oz, come sarebbe stata trattata? Ovviamente da pazza, messa in manicomio! Ecco che Wendy, Alice, e appunto Doroty, si ritrovano insieme in una clinica che dovrebbe curarle dalla pazzia.

La premessa è fantastica, ma quello che c’è da sapere è che la clinica in cui sono finite, la Cheshire Crossing, non le crede pazze. Piuttosto vuole studiare i loro poteri.

Gli elementi intriganti sono legati alle tre protagoniste che hanno un carattere molto delineato (ho amato Alice perchè forte e menefreghista e già tifavo per lei a pagina 2) e alla fusione dei tre mondi (che entreranno in contatto tra loro, ma non vi dico come). Il tutto insieme avrà dei risvolti esilaranti. Si incastra tutto magistralmente, cosa che non pensavo potesse succedere (sono una purista di Alice e difficilmente la trovo adatta a vivere fuori dal suo mondo), eppure vedere le tre protagoniste scontrarsi con Uncino e la Strega dell’Est è apparso un evento molto naturale. Allo stesso modo Wendy e Doroty sono state una rivelazione: non le ho mai amate particolarmente, ma messe a contatto con gli altri mondi fantastici hanno saputo tenere la scena.

I disegni sono semplici, eppure hanno il loro perché. Ho storto il naso solo sull’epilogo, se lo leggerete ditemi se non avete avuto la stessa mia impressione. I colori accesi dei mondi fantastici, si contrappongono ai colori caldi e monocorde del mondo reale. Non so se avrei optato per un disegnatore diverso, devo ammettere che il tratto ben si adatta alla frizzantezza di alcuni momenti.

Una graphic novel fresca, rivolta a giovani lettori e di cui voglio vedere molto altro (e l’epilogo mi lascia ben sperare). Lo consiglio a chi piacciono le storie originali che hanno ispirato questo volume.

Creepshow

Recensione di Creepshow di Stephen King e Bernie Wrightson

Il maestro dell’orrore Stephen King, regista de “La notte dei morti viventi,” e il tratto inconfondibile di Bernie Wrightson, finalmente arrivano in Italia con l’albo Creepshow, pronto a terrorizzarci per Halloween.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Era il 1982 quando questo fumetto accompagnava l’uscita dell’omonimo film, il primo ad avere la firma di Stephen King. Cinque racconti dell’orrore prendevano vita sul grande schermo e venivano poi trasposti in questo fumetto. Che sia nato sull’onda di un omaggio a grandi autori del passato lo si può notare dal tratto molto vintage e dalla struttura delle tavole che ricorda i vecchi fumetti anni 60-70. I colori, ma soprattutto il design dei personaggi, rivela chiaramente che questo non è un fumetto moderno. Notate bene che ho definito fumetto e non graphic novel, perché questo ha ben poco del romanzo a fumetti.

I cinque racconti sono un classico dell’orrore dove zombie, e situazioni weird, la fanno da padrone. Ho trovato molto bello che ci sia un narratore pronto a introdurre e accompagnare le storie, infrangendo la terza parete.

Il primo racconto “La festa del papà” ha un canovaccio classico, che quasi mi ha sorpreso. Ormai non se ne vedono più di trame così lineari e ovvie. Allo stesso modo anche “La cassa” è un episodio abbastanza semplice che eppure ha una sua godibilità. A mio parere il migliore resta “La morte solitaria di Jordy Verrill”. Il personaggio è ben sviluppato e, sebbene già il titolo ci faccia capire che fine farà, è quasi un sadico piacere vederlo rovinarsi con le sue stesse mani, semplicemente non agendo. Il più spaventoso è “Strisciano su di te”, in una situazione simile sarei morta già nella seconda vignetta.

Una pietra miliare del panorama fumettistico americano, che per troppo tempo è rimasto inedito nel nostro paese. Finalmente arriva in tutta la sua bellezza per terrorizzarci come solo un tempo si sapeva fare. Se amate Stephen King, e il fumetto americano, non può mancare nella vostra libreria.