Recensione Il mondo nuovo e Ritorno al mondo nuovo di Aldous Huxley

Recensione Il mondo nuovo e Ritorno al mondo nuovo di Aldous Huxley

Se penso ai grandi libri distopici, vengono fuori sempre tre titoli abbastanza noti: “Fahrenheut 451”, “1984” e “Mondo nuovo”. Il più vecchio è quest’ultimo, la cui lettura avevo fino ad ora evitato, un po’ perché spaventata dalla sua età (parliamo di un libro del 1932) e anche perché del trittico ho letto solo Ray Bradbury e pensavo che prima avrei affrontato George Orwell; invece con questa nuova edizione ne ho approfittato per studiare questo primo grande distopico.

Attenzione questo libro è stato fornito da Mondadori.

Per quanto questo volume sia datato, c’è una cosa che mi ha sconvolto con la lettura delle prime pagine: la predestinazione dei feti. Nel “Mondo nuovo” i figli non nascono, vengono travasati e prodotti in laboratorio, dove a seconda della qualità degli ovuli fecondati, esso avrà una posizione sociale ben definita. I migliori resteranno unici, gli altri arriveranno a una mitosi infinita fino ad avere migliaia di copie. Abbiamo quindi bambini che nasceranno in serie e saranno condizionati per fare lavori umili, e altri che invece saranno destinati a occupare importanti posizioni nella società.

Perché tutto questo? A quale scopo una società che vive imprigionata dal condizionamento subito sin dalla nascita? In questo mondo ideale le libertà negate sono la fonte primaria della felicità. Il mondo rialzatosi da profondi sconvolgimenti, ha rinunciato al concetto di famiglia, di sessualità monogama, alle aspirazioni del singolo, ricevendo in cambio una società autosufficiente che si consola a colpi di pillole allucinogene.

A tutto questo si contrappone un mondo selvaggio, quello della riserva nel Nuovo Messico, dove gli uomini posso ancora nascere naturalmente senza condizionamento. Una contrapposizione in cui troviamo un ibrido, una via di mezzo, il selvaggio John, nato da una donna che non avrebbe dovuto o potuto partorirlo (pratica che per i personaggi ha del ridicolo, pornografico e proibito), sarà questo Selvaggio, che ha letto le opere di Shakespeare,  a scontrarsi con il Nuovo Mondo, quello da cui viene davvero, ma la durezza di una cultura dove non esiste una libertà e tutto è condizionato lo porteranno a odiarla.

Non è un distopico che richiama i canoni che ormai sono alla base dei molti libri che escono oggi. La società del Mondo Nuovo è felice della mancanza di libertà, è stata lei stessa a chiedere queste privazioni perché sembrano essere l’unico modo di vivere, un equilibrio di consumismo e soppressione di identità indipendente. Non esistono delle repressioni vere e proprie, questo ci porta a domandare quanto saremmo in grado di odiare davvero un mondo come questo.

Il saggio a conclusione del volume “Ritorno al Mondo nuovo” analizza la storia dell’uomo e sulla struttura delle società, con un occhio più maturo al romanzo e dove nel 1950 l’autore era certo che saremmo arrivati a viverlo sulla nostra pelle il Mondo nuovo. Più leggo questo genere di romanzo e più mi domando quanto l’uomo stia facendo per farmi credere che la distopia sia solo nei romanzi…

Un volume che ha fatto la storia della fantascienza che ha aperto la porta a una nuova visione del futuro, meno roseo, meno irreale di quanto si possa pensare per i nostri tempi.

Ciclo di Earthsea

Recensione La saga di Terramare di Ursula Le Guin

I puristi lo chiamano “Ciclo di Earthsea”, qualcuno conosce il non proprio riuscito lungometraggio dello studio Ghibli “I racconti di Terramare”, finalmente però questa saga si trova racchiusa in un volume unico, pronta a portare i lettori in un arcipelago magico e unico.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Che la chiamate in un modo o nell’altro, l’arcipelago in cui sono ambientate le storie create da Ursula Le Guin risultano un mondo diverso rispetto a quello che fino a quel momento (parliamo del 1968) si poteva trovare nei libri fantasy. È la stessa autrice a parlare di come alla sua stesura si fosse resa conto che gli unici protagonisti e maghi delle letture più in voga fossero quelle di uomini bianchi, anziani barbuti, con grigie vesti pronti a guidare l’eroe di turno. Invece la sua scelta verte su un protagonista giovane mago, che cresce accanto al lettore; una scelta che al giorno d’oggi non ci sembra così innovativa ma per i suoi tempi lo fu. Come se non bastasse gli abitanti di Terramare hanno la carnagione che dal bronzo arriva a tonalità più scure, una scelta che pochi trasmetteranno attraverso le copertine e illustrazioni (guardate anche solo il trailer del film Ghibli) e che in questa edizione è ben sottolineato.

Una storia innovativa che proietterà il fantasy in una dimensione più complessa della semplice narrativa di genere. Ursula trasmette attraverso Ged, e gli altri protagonisti, quanto il fantasy possa essere letteratura, non semplice intrattenimento, tematica che la stessa autrice ribadisce nelle postfazioni.

L’ambientazione è un complesso arcipelago di isole, non abbiamo quindi il tipico cammino verso mondi sconosciuti, i personaggi si muovono su navi. A questo si aggiunge anche la vastità di popoli e creature che lo abitano. Non annoia mai, si passa gran parte del tempo anche a controllare i nomi, a seguire i viaggi delle navi, lungo la mappa all’interno del libro.

L’ambientazione è esotica, il protagonista giovane, che cosa dovrebbe renderlo così profondo? Le tematiche trattate nei libri non sono semplicemente l’ennesima trasposizione del viaggio dell’eroe, se prendiamo il primo libro, non esiste un antagonista da sconfiggere. Ged deve affrontare le conseguenze di un suo errore, non abbiamo una guerra, o un prescelto: il personaggio principale è eroe come anche nemico di sé stesso. Alle tematiche poi si aggiunge uno stile narrativo molto vario, i capitoli sono lunghi, con pochi dialoghi e tantissimo spazio alle storie dell’arcipelago; ci si trova a leggere pagine e pagine e quasi sembra che il libro non finisca più, eppure non è appesantito da descrizioni o divagazioni. È un fantasy dal sapore classico con un pizzico di innovazione, che si sente ancora oggi dopo tutto il tempo passato dal primo libro.

Se siete dei cultori del genere certamente lo avrete letto, e se non lo avete ancora fatto (malissimo!) è da recuperare all’istante. Una pietra miliare nel genere in cui solo gli uomini sembrano trionfare nelle classifiche di vendita, eppure questa donna ha saputo scrivere di meglio, anche se è rimasta a mio parere troppo in ombra. E’ ora di riscoprirla e, perché no, con un’edizione di lusso come questa.

Fiamme nella palude

Recensione Fiamme nella palude di Eoin Colfer

Vern, un drago che si nasconde da secoli. Miccetta, un ragazzo che è finito nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Regence Hooke un poliziotto corrotto e dannatamente pericoloso. Tre elementi che potrebbero non avere nulla in comune e che invece si rivelano un trittico scoppiettante, in grado di coinvolgere il lettore nella storia più frizzante che una palude potrebbe mai ospitare.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.

Ok, sono pronta alla pubblica gogna: non ho mai letto Artemis Fowl; me ne pento e me ne dolgo, e in mia discolpa non mi ha mai ispirato. Quando ho deciso di leggere questo libro, l’ho fatto perché l’incipit era molto intrigante e ignoravo chi fosse l’autore. Già, perché la premessa di un drago che beve vodka e passa il suo tempo recluso a guardare Netflix (vedo delle somiglianze con la mia vita ideale) mi faceva urlare “devo leggerlo” e infatti ho fatto molto bene!

Non è un autore di prima penna, non è nemmeno un autore che con la fama ha bisogno di prendersi spazi eccessivi o ridondanti (ogni riferimento a Crescent City NON è puramente casuale) e soprattutto non punta tutto sull’idea. I primi capitoli sono eccezionali proprio perché dimostra di avere una voce flessibile, sapendola adattare al personaggio al centro della situazione descritta. I salti focali da un personaggio e l’altro sono gradevoli, non interrompono la trama, anzi fanno amare/odiare i protagonisti, tanto da non potersi staccare dalle pagine.

Ironico a volte irriverente non si può far altro che amare quello che potrebbe essere l’ultimo drago. Vern ha un carisma di uomo vissuto con un pizzico di piccante spigliatezza, che riesce a rendere la storia divertente e interessante. Allo stesso modo l’antagonista Regence Hooke dimostra tutta la sua mancanza di sentimenti raccontando un passato difficile, che però non giustifica il suo essere perfido e sadico. Anche Miccetta ha vissuto problemi simili eppure dimostra di aver fatto una scelta più giusta.

La trama in sé è molto lineare e un pizzico all’americana, eppure il carisma del trittico di personaggi rende scorrevole e mai banale la storia. Le pagine si lasciano leggere in fretta e ci si ritrova alla parola fine con la voglia di leggere di altri draghi e cocktail. Un urban fantasy che ha il sapore bruciante di una vodka secca, una storia che fa ridere senza essere una continua barzelletta. I riferimenti alla cultura pop, e non solo, non disturbano la narrazione, anzi è una lettura contemporanea che mescola il sapore antico e con le opinioni sulle serie tv, film e libri, che le dona una spontanea dimensione umana.

Consigliatissimo a chi cerca una storia per accompagnare questa estate 2020, divertente al punto giusto, per potersi lasciare la quarantena alle spalle e puntare dritti per una vacanza alla ricerca di un drago, armati di casse di Absolut e Martini.

Middlegame

Recensione di Middlegame di Seanan McGuire

Due gemelli. Non generati ma creati, divisi alla nascita perché potessero progredire e aprire le porte della città impossibile. Roger e Dodger, sono due bambini adottati. Il primo vive a Cambridge e ha una propensione per la parola in ogni sua forma, la seconda in California a Palo Alto e è un piccolo genio della matematica. Sono stati separati eppure grazie alla mente si riuniscono. Qualcuno però li vuole separati.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Ho visto accusare milioni di volte Mondadori per aver portato in Italia solo quello che vende, eppure trovo che la pubblicazione di questo volume sia una scelta molto coraggiosa. No, non è il solito young adult, e NO, non è una storia così semplice e lineare da poter accontentare tutti i lettori.

Partiamo dal presupposto che importare questa autrice nel nostro paese, e farlo con un titolo così sperimentale, è un autentico azzardo. Già dalle prime pagine si capisce che il lettore non avrà vita facile. Non ci saranno spiegoni a raccontare l’alchimia e ci si troverà con il dubbio che sia una rivisitazione de “Il moderno prometeo” (leggendo di Reed) dove sette segrete progettano un modo per usare le antiche dottrine per raggiungere la città impossibile.

Vi confesso che affrontati i primi, molto confusi, capitoli, si percepisce subito che l’autrice sa scrivere divinamente: i primi incontri tra Dodger e Roger, per esempio, sono davvero godibili. Ci sono bellissimi passaggi che fanno emergere le doti narrative che potreste non trovare nei primissimi capitoli che, con una struttura meno lineare, non lasciano cogliere al lettore la magia che davvero si nasconde in questa storia.

È il caso di dirlo, non è una lettura così facile. Il fatto che esistano complessi meccanismi nella trama, che non vengono sempre palesati al lettore, rende la lettura un poco disordinata. Ci sono riferimenti all’alchimia, ma allo stesso tempo si inseriscono elementi legati ai tarocchi (il Re di coppe e alla Regina di bastoni) come anche una continua citazione al romanzo “I figli dell’Invasione” di John Wyndham. L’insieme non stona, ma ammetto che ho provato anche ad approfondire questi elementi, senza però vedere così bene il quadro generale del mondo descritto dall’autrice.

La struttura narrativa risente della sperimentazione dove tra salti temporali, dilatazioni di scene che potevano essere descritte in due o tre righe, alcuni elementi sottointesi, si arriva a metà libro domandandosi quale sia l’obbiettivo della storia, rischiando di bloccarsi.

C’è una cosa che mi ha dato davvero troppo fastidio nella lettura di questo volume: le parentesi. Già perché l’autore si permette delle pause dai fatti con lunghe parentesi che approfondiscono i pensieri dei personaggi o alcune situazioni, e di solito è sempre il momento meno adatto per divagare. Sono stati punti della lettura che proprio l’hanno resa frustrante, interrompendo il ritmo della scena facendomi quasi pensare di saltarli (anche se a volte servono a dare maggiore spessore alla trama o al personaggio). Andavano a mio parere collocati meglio nel testo.

Gli antagonisti, Reed e Leigh, sono interessanti ma troppo rinchiusi nel loro antro oscuro per dare il meglio di loro nella storia. Un peccato, anche se per fortuna Erin prende il loro posto attivamente nel libro; eppure si sente troppo la loro assenza.

I protagonisti si dividono sui due fronti, Roger che nonostante tutto riesce a integrarsi nel mondo e Dodger che vive estraniata da tutto e non è sicura di voler vivere davvero. Il primo legato alle parole, la seconda che giura fedeltà ai numeri. Confesso di essere #TeamDodger e anzi mi spiace che alcune parti sulla sua adolescenza non siano raccontate. Avrei infatti approfondito di più alcuni momenti della vita dei gemelli, evitando che uno dovesse riassumere gli eventi all’altro.

Dovendo tirare le somme questo non è il solito libro. Vi piacerà? Non sono sicura ma se state cercando qualcosa di diverso dal solito ve lo consiglio caldamente, dovrete forse avere molta pazienza con lui, ma vi ripagherà. È un volume unico? Sni… diciamo che un finale lo troviamo, ma l’autrice potrebbe sempre decidere di chiudere alcune questioni lasciate in sospeso.

Io sono leggenda

Recensione: Io sono leggenda di Richard Matheson

Robert Neville è rimasto da solo. Potrebbe anche essere davvero l’ultimo che ancora sopravvive a tutti i vampiri che la notte percorrono la città. Passa le sue giornate a costruire paletti, controllare che la casa sia insicurezza, a prova di attacco, e bere whisky. Che futuro potrà mai avere un sopravvissuto, che da solo cerca una spiegazione e una soluzione per tutti i vampiri che hanno ormai invaso il mondo?

Attenzione questo romanzo è stato fornito da Mondadori.

Ho letto di vampiri classici, di vampiri che luccicano e fanno perdere la testa alle adolescenti (e non), di vampiri creati in laboratorio, romanzi che alla fine sono piccole fan fiction di Dracula di Coppola e mi fermo qui perché potrei continuare. Insomma il vampiro mi ha sempre affascinato, ma “Io sono leggenda” di Richard Matheson mi mancava proprio, quindi ho colto l’occasione per poterlo leggere grazie alla nuova edizione tradotta di nuovo e riporta in libreria questo classico edito nel 1954.

Ciò che mi aveva tenuta lontana da questo libro era stato il film, avevo provato a vederne i primi minuti e ero rimasta terrorizzata dalla morte del cane. Ricordo di aver fermato il film e da allora vi confesso non ho più tentato di vedere come andasse a finire. Sono certa che molti abbiano apprezzato il lavoro di Will Smith ma io non sono fatta per questo genere di film. L’orrore mi piace soltanto su carta, e infatti il libro è stata una spiacevole lettura. Le scene di suspense mi hanno spinto più volte a prendere una pausa perché avevo davvero troppa paura di leggere altro, questo è il vantaggio dei libri rispetto ai film, i codardi come me possono prendersi anche uno o due giorni prima di proseguire la lettura.

L’approccio del personaggio al problema “vampiro” è uno dei più originali che abbia mai letto: niente ricerca di immortalità o caccia sfrenata per salvare il mondo, Robert si dedica a capire perché i vampiri siano così spaventati dalle croci e odino l’aglio, da dove siano arrivati. Sì, i vampiri di “Io sono leggenda” presentano le caratteristiche classiche, dormono di giorno, muoiono se esposti al sole o colpiti al cuore con paletti di legno, gli elementi innovativi (almeno per me) sono nella distinzione tra vampiro “vivo” e “morto”, il primo è senziente il secondo è più mosso dalla fame, a cui si aggiunge il fatto che siano inseriti in un mondo che sembra post apocalittico, dove ormai si da per scontata la presenza degli zombie. L’approccio scientifico del protagonista lo porta a sperimentare fino a cercare la vera origine di un morbo che sembra aver distrutto la civiltà, arrivando a scoprire un germe che agisce sul corpo umano portandolo alla condizione di succhiasangue quasi immortale.

Devo confessarvi che leggerlo ora, dopo la quarantena, mi ha a volte spaventato e altre fatto riflettere su come io avrei potuto affrontare la fine di una civiltà se fosse prossima: un consiglio, tenete sempre una copia a portata di mano, ci potrete trovare l’ABC per sopravvivere a un mondo post apocalittico. Non sto scherzando, l’autore da tutti gli elementi necessari per crearsi una casa fortezza e spiega anche come recuperare cibo e acqua.

Il romanzo contiene momenti di ansia, di terrore e solitudine fino al colpo di scena finale quando l’autore rivela il suo spietato talento: Richard Matheson trasforma la vittima in carnefice. Leggendo la postfazione di questo volume, si scopre quanto questo genere di finali molto inaspettati siano una chiave comune del lavoro di questo scrittore, che vanta racconti e libri che sono poco conosciuti e che credo sia proprio il momento di riprendere in mano per scoprire questo autore americano che ha portato l’orrore nella cultura moderna, e cito, una autentica macchina creativa del Novecento americano.

Ci sono tante edizioni di questo libro, del resto ha la sua età ma sta invecchiando benissimo, eppure mi sento di consigliarlo in questa nuova edizione. Tradotta bene e soprattutto con una postfazione che da al lettore degli elementi per conoscere meglio questo autore che ha ispirato lo stesso Stephen King.

Recensione: Crescent City – La casa di terra e sangue di Sarah J. Maas

Recensione: Crescent City – La casa di terra e sangue di Sarah J. Maas

Bryce ama divertirsi con la sua amica lupa Danika. È una mezza Fae, considerata da troppi uno scarto, ma la sua vita in fondo le piace. Quando però, rientrando urbriaca e anche strafatta trova il cadavere della sua amica e del gruppo di lupi, la sua vita cambia per sempre.

Attenzione questo romanzo è stato fornito da Mondadori.

La serie “Throne of Glass” non mi aveva fatta impazzire e il cambio formato da parte della Mondadori mi aveva portato a interrompere la sua lettura, quindi ho voluto dare una seconda possibilità con questa nuova saga a Sarah J. Maas. Ora è chiaro che l’autrice abbia fatto successo, ma davvero non capisco perché nessuno, ma proprio nessuno, abbia pensato di far notare all’autrice che alcuni passaggi erano davvero eccessivi: in scene dove stiamo cercando di capire ancora come funzioni il mondo da lei creato, ecco che entra a gamba tesa a spiegare un dettaglio del mondo creato, restando su questo per molto. In più punti queste descrizioni lunghe di fatti che non sta vivendo la protagonista risultano di troppo. È chiaro che il lavoro dell’autrice punti a dare al lettore le informazioni chiare per comprendere il complesso mondo e la città di Crescent City, ma come sempre è meglio che il lettore viva certe informazioni più di sentirsele spiegare.

Il word building è davvero complesso e anche se a volte sovrasta la trama: come ho già detto ci sono tantissime descrizioni, bellissime ma a mio parere andavano smussate per lasciare spazio alla trama. La storia è davvero complessa: quando ho provato a riassumere il libro mettendomi davanti al pc mi sono resa conto che non è così semplice, ogni evento è concatenato in maniera che non stia in piedi senza poter conoscere i retroscena dell’ambientazione, il tutto infatti è fuso in maniera indissolubile, anche se come ho già detto, forse la costruzione del mondo soffoca troppo (soprattutto) i primi capitoli.

Bryce come protagonista non mi è dispiaciuta e anche Danika (per quanto non sia presente fisicamente) non sono le macchiette: spesso con il loro modo un po’ ribelle cercano di convivere con la difficile responsabilità che hanno sulle spalle, mi è piaciuto immedesimarmi in entrambe.

Le componente maschile aggiunge una nota romantica al romanzo: Hunt che cerca di risolvere il caso nei tempi stabiliti dal governatore così che possa riscattare la propria libertà (o quasi) è affiancato alla protagonista a cui si legherà moltissimo e si contrappone a Rhun, principe succube di un padre che già sta intavolando per lui un matrimonio e vuole soltando aiutare la “cugina” Bryce a continuare a vivere dopo la perdita della cara amica.

Il finale è un po’ troppo una americanata, non faccio spoiler, ma vi confesso che ci sono: il colpo di scena che grazie a una incomprensione fa sentire tradita la protagonista, il conto alla rovescia, il cattivo che spiega tutti i suoi misfatti e i piani, le esplosioni… non fatemi continuare fidatevi solo che a un certo punto mi aspettavo pure qualche resurrezione.

Quindi? Non è in libro scorrevole, ma i difetti più grandi li ho trovati più nella traduzione, mi auguro che sul cartaceo questi refusi e errori siano stati tolti. Nell’insieme è una storia godibile, forse mi aspettavo qualcosa in più, ma non mi sento di crocifiggere un libro che, per quanto non eccelso, mi ha fatto buona compagnia. Non è una lettura così brutta e credo che i giovani lettori l’apprezzeranno (anche se dai, le scene hot ce le poteva risparmiare la Maas), se amate il genere Urban Fantasy con una buona dose di Paranormal Romance allora dovete leggerlo, per i puristi del genere invece lasciate stare.

Gli strani Viaggi di Giulio Verne

Recensione: Gli strani Viaggi di Giulio Verne – Michele Strogoff

maestro Jules (o Giulio per questa edizione anche se italianizzato proprio non mi convince) Verne.

Attenzione questo romanzo è stato fornito da Mondadori.

Lo confesso, questo è il mio primo Oscar Draghi. Ne ho visti altri, ma questo è davvero il primo che riesco ad avere tra le mani. Partire con Verne è una cosa molto strana; pensandoci la mia prima lettura alle elementari (che ricordo) fu “Il giro del mondo in 80 giorni” e mi fa strano non averlo trovato in questa raccolta che ha come filo di connessione proprio il viaggio. In un’epoca in cui la narrazione doveva portare ai lettori le emozioni e il fascino dei luoghi più o meno lontani, Verne fu un maestro, fondendo le nozioni sui luoghi con la sua fantasia e portando il lettore in mondi realistici di un futuro che per allora poteva essere prossimo.

Per questo evento ho deciso di focalizzarmi però su Michele Strogoff. L’ho fatto perché la mia passione per gli Zar è infinita e non potevo esimermi dal leggere la visione di Verne sulle steppe e sulla corte russa. È stata una scelta azzardata e vi confesso che mi ha ripagato: l’autore non descrive unicamente l’avventura del viaggio del corriere dello Zar, ma si sofferma a parlare di ogni città toccata o vista dai personaggi, permettendo al lettore di esplorare luoghi lontanissimi, scoprendo non solo le sue bellezze ma anche le loro storie.

Il viaggio, non privo di emozioni per il protagonista, porta Michele a incontrare Nadia, una giovane donna in viaggio per potersi ricongiungere al padre; si aggiungono anche due giornalisti, uno francese e uno inglese, che si rivelano due macchiette comiche che animano molti momenti. Non c’è un attimo di respiro in questa storia che racconta di come un tempo i viaggi fossero dilatati nel tempo e pieni di così tanti imprevisti da risultare autentiche sfide che potevano costare la vita. Se già il viaggio risulta difficile, si deve aggiungere anche la complessità aggiunta con la rivolta dei Tartari: potete capire che questo libro non si ferma un attimo.

Si tratta di una storia classica e nonostante sia comunque datata come narrazione (alcuni punti descrittivi potrebbero rallentare la lettura). E’ anche stata trasposta in diversi film e serie televisive (ci sono anche due lungometraggi animati) e questo ve lo dico perché gli elementi contenuti lo rendono completo: avventura, spionaggio, amore, le bellezze della terra siberiana. Una lettura che non sempre si riconduce a questo autore, eppure non si può negare che sia degna del suo nome.

Il libro è come sempre ben curato, rappresenta appieno i racconti e lo stile di Verne. L’unica pecca a mio parere è che le illustrazioni al suo interno siano quelle classiche che un poco stonano con la modernità dell’esterno (ma questo è un mio gusto personale).

Per essere il mio primo Drago lo approvo a pieni voti e direi che non dovrebbe mai mancare sulla libreria di un appassionato di Verne… Semmai mi domando, ci sarà un volume due con anche altri lavori di questo grande autore? Beh la speranza è l’ultima a morire.

Falce di Neal Shusterman

Recensione Falce di Neal Shusterman

Se la mortalità fosse sconfitta, se a tutti noi venisse concesso di vivere eternamente, il mondo non reggerebbe la nostra presenza, tutti questi immortali che continuano ad avere figli anche a cento o duecento anni: continuare a crescere di numero, senza che la morte possa ridurlo naturalmente sarebbe impossibile perché non ci sarebbero le risorse. Sono queste le premesse di Falce, una distopia young adult che racconta di uomini e donne incaricati appunto per incarnare la morte.

Attenzione, questo libro è stato fornito da Mondadori.

Citra e Rowan sono due adolescenti che entrano in contatto con una Falce e dimostrano di avere la propensione per il lavoro di spigolatura (nome del processo messo in atto dalle Falci quando donano la morte): i due ragazzi hanno pietà e soprattutto non sceglierebbero mai la via delle Falci.

La premessa è davvero molto interessante e infatti mi è spiaciuto che i toni della storia siano semplificati per rendere la storia adatta al pubblico giovanile, perché se trattata con la giusta forza sarebbe stato un romanzo davvero molto forte. Non posso però negare che sia un ottimo young adult distopico con tutti gli elementi che lo potrebbero trasformare in un successo editoriale.

I personaggi sono ben costruiti anche se devo ammettere non hanno nulla di originale e anche lo stile con cui è scritto il romanzo tiene il lettore più consumato troppo a distanza da Citra e Rowan, forse se vissuti di più attraverso le loro azioni avrebbero emozionato di più il lettore; infatti le prime pagine, quelle più importanti, dove Citra e Rowan sono appunto chiamati a essere apprendisti Falce, la narrazione corre senza mostrare appieno le attività e le prime spigolature a cui prenderanno parte: sono raccontate con frettolosi flashback spiacevoli, in tal modo la scena risulta molto distante. A ciò la storia d’amore mi è sembrata molto forzata, della serie “non poteva mancare, mettiamola” e forse se si fosse approfondito il primissimo periodo di apprendistato, la costruzione di una relazione tra i protagonisti sarebbe stata più coerente nell’insieme della storia.

Ci sono diversi punti del romanzo che ho trovato interessanti. La storia si svolge in un futuro lontano dove, senza la morte, sconfitta la povertà, la gente vive ma è anche scossa da una noia di esistere, per esempio il miglior amico di Rowan, Tyger, attira l’attenzione della sua famiglia attraverso continui lanci nel vuoto, da cui viene rianimato e curato. Anche l’idea che a gestire il mondo non ci siano governi, ma un sistema evoluto di un Cloud, il Thunderhead, è un elemento intrigante che non è stato sfruttato come un grande fratello, ma appunto come un’enorme mente a disposizione del mondo. Pensando ai suoi algoritmi e interfacce mi sono immaginata un possibile Google del futuro.

Sono sinceramente molto divisa su questo volume e non mi sento di consigliarlo a tutti. È una lettura con ottimi spunti, eppure è stata scritta a mio parere con troppa semplicità, sarà certamente un libro molto ricercato, ma devo confessare che sarei spinta a comprarlo più per lo splendido lavoro grafico che per la storia. Anche se… siamo solo al primo volume di una trilogia. Sono curiosa di scoprire come continuerà la storia per capire se forse, questo volume, ci ha preparato a una storia molto più concreta. Per ora mi sento di consigliarlo a chi ha amato saghe come quella di Divergent e Hunger Games, e a lettori giovani, che in questa storia troveranno certamente un buon passatempo, a quei lettori un poco più navigati invece consiglio di passare oltre.